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Almeno la governance fiscale europea ci libera dalle polemiche sul Def


La politica di bilancio deve offrire certezze a famiglie, imprese e mercati. Oggi la rotta della finanza pubblica è chiara, ma le idee sulla origine della produttività sembrano essere, più che confuse e stanche, semplicemente assenti

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Devo fare ammenda. Ho criticato più volte la nuova governance fiscale europea descrivendola come una combinazione di logiche diverse e opposte – cosa che confermo – ma oggi devo riconoscere che, sotto un solo specifico aspetto, essa ha avuto un grande merito: liberarci dal Documento di economia e finanza. Mi rendo conto che per le legioni di opinionisti che popolano il paese e per i parlamentari di opposizione la notizia è ferale. Negli anni passati, il dibattito tanto acceso quanto spesso privo di qualunque contenuto concreto sul Def occupava buona parte della primavera. Oggi non più, ed è – lo ripeto – una buona notizia. Gli obiettivi di politica economica sono stati fissati per i prossimi cinque anni e il profilo temporale della “spesa netta” rimane l’àncora della politica di bilancio nel medio termine. Non c’è, francamente, altro da aggiungere e la vera buona notizia per le imprese e le famiglie italiane è che – nonostante i lampi e i fulmini che giungono dall’altro lato dell’Atlantico e nonostante le ondate che un giorno sì e un giorno no sommergono i mercati – la rotta di fondo della politica di bilancio rimane inalterata così come inalterato rimane l’impegno del governo a mantenerla tale

 

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E’ veramente sorprendente che, da parte di alcuni, si lamenti l’assenza di una “direzione politica” come se questa potesse essere esercitata solo ed esclusivamente muovendo a destra o a sinistra poste di bilancio misurabili in miliardi di euro, e non invece – come dovrebbe essere – indicando una direzione, perseguendola anche al di là delle – e anzi soprattutto in presenza di – turbolenze di cui non siamo ancora in grado di valutare compiutamente la natura, la portata e le implicazioni. La politica di bilancio deve offrire, prima ancora che risorse (da dare, da togliere o da distribuire), certezze alle famiglie, alle imprese e, più in generale, ai mercati. Un compito tutt’altro che facile, di questi tempi e, si noti, tutt’altro che passivo. E non si tratta solo di vuote affermazioni, le indicazioni contenute in quello che ora si chiama Documento di finanza pubblica evidenziano un’evoluzione della “spesa netta” pienamente in linea con gli impegni assunti in sede europea ma soprattutto con gli obiettivi che il paese si è dato anche al fine di mettere in sicurezza le finanze pubbliche e di cui il mondo intorno a noi sembra condividere la ragionevolezza. E per chi non riesce a non tradurre in termini non monetari le scelte di finanza pubblica sarà sufficiente valutare gli spazi aggiuntivi creati dai minori oneri per il servizio del debito pubblico conseguenti all’attuale politica di bilancio.

Il che non implica che il Dfp non imponga alcune riflessioni di fondo. Una, forse, più di altre: la previsione è che il tasso di crescita del prodotto interno lordo potenziale sia in calo nel medio termine e che il tasso di crescita della produttività totale dei fattori sia nullo – sottolineo, nullo – nello stesso orizzonte temporale. Un intero capitolo del Dfp è dedicato ai progressi che sarebbero stati compiuti in termini di riforme e di investimenti pubblici ma qui è difficile resistere alla tentazione di parafrasare il premio Nobel Bob Solow: “Si vedono riforme e investimenti dappertutto, salvo che nelle statistiche della produttività”. Ed è difficile non osservare che delle 120 pagine destinate dal alle riforme e agli investimenti, 18 sono dedicate al miglioramento dell’ambiente imprenditoriale e di queste solo 14 righe – righe, non pagine – sono dedicate alla semplificazione normativa. Per dirla in breve, la rotta della finanza pubblica è chiara ma le idee sulla origine della produttività sembrano essere, più che confuse e stanche, semplicemente assenti. E se la produttività langue, mantenere la rotta della finanza pubblica si farà sempre più difficile.
 





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