Durante lo strano tira e molla sui dazi dell’amministrazione Trump, i mercati finanziari hanno conosciuto giornate a dire poco difficili. Il motivo principale è piuttosto semplice: con i dazi, l’effetto più immediato si manifesta come un freno al commercio internazionale, con impatti su molte delle più importanti imprese quotate. I mercati hanno quindi scontato le aspettative di minori profitti – e quindi minori dividendi per gli azionisti – che solitamente seguono a tali politiche.
Un impatto potenzialmente anche più pericoloso per il mondo imprenditoriale riguarda però non il valore delle azioni, quanto il costo dell’indebitamento. Ovvero il mercato obbligazionario.
Più c’è fiducia nell’economia, più gli investitori acquisteranno obbligazioni, e più si interesseranno anche a quelle considerate più rischiose. Maggiore fiducia significa infatti più domanda. Ovvero la possibilità per le imprese di emetterle anche con bassi tassi di interesse, nella certezza di poterle piazzare sui mercati. Al contrario, in situazioni di crisi e incertezza gli investitori chiederanno tassi di interesse più alti per compensare il maggior rischio.
Già adesso i dazi hanno fatto schizzare lo spread
In questo senso un indicatore della fiducia dei mercati è lo spread, ovvero la differenza tra i rendimenti delle obbligazioni più rischiose o speculative e quelle considerate praticamente prive di rischio come i titoli di Stato. Secondo un articolo di Les Echos, questo indice è schizzato verso l’alto nel corso della scorsa settimana, quando erano stati annunciati dazi per tutti. Tanto in Europa quanto negli Stati Uniti, dove si è registrato l’aumento maggiore dallo scoppio della pandemia nel 2020.
Questo significa che aumenta la remunerazione che gli investitori chiedono per acquistare obbligazioni, o in altre parole che aumentano i costi di finanziamento per le imprese. Non solo per quelle che propongono obbligazioni giudicate particolarmente rischiose. È l’insieme del mercato a muoversi verso maggiori rendimenti, facendo salire il costo del finanziamento anche per le imprese di maggiore qualità.
E nel medio periodo aggiungeranno ulteriori problemi al sistema produttivo
In questo caso, gli impatti dei dazi si vedono sul medio periodo. Da un lato, infatti, il mercato azionario si muove generalmente in maniera più rapida a fronte di prospettive di miglioramento o peggioramento dell’economia, mentre quello obbligazionario ha tempi più lunghi. Anche per questo un aumento così repentino dei tassi è rivelatore di una situazione percepita come particolarmente rischiosa. Dall’altro, invece, le ricadute di un aumento dei costi di finanziamento potrebbero pesare sui bilanci delle imprese su un orizzonte di anni.
Se nelle analisi pubblicate in questi giorni molti si concentrano sul rischio di un crollo dell’import-export e del commercio internazionale, a causa dei dazi, l’aumento del costo del finanziamento potrebbe aggiungere ulteriori problemi per il sistema produttivo.
Ancora non è chiaro fino a che punto i dazi voluti da Trump siano stati pensati per essere mantenuti nel tempo o siano un’arma negoziale – per non dire un ricatto – per costringere diversi Paesi a concedere migliori condizioni per le imprese statunitensi. Certo è che gli impatti dei dazi, tenendo conto non solo del mercato finanziario ma anche di quello obbligazionario, avrebbero potuto ripercuotersi su scala internazionale. E per molto tempo a venire. Forse è proprio per questa ragione che, per adesso e Cina a parte, la questione dazi sembra essere stata sospesa.
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