Andrea Prete, presidente di Unioncamere – Archivio
Entro il 2028 il fabbisogno occupazionale delle imprese e pubbliche amministrazioni italiane potrà variare tra 3,4 e 3,9 milioni di occupati, a seconda dello scenario macroeconomico considerato. La maggior parte della domanda sarà determinata dalle necessità di sostituzione dei lavoratori in uscita dal mercato del lavoro (pari al 78% del fabbisogno nello scenario positivo e all’88% in quello negativo), mentre la crescita dello stock occupazionale tra 2024 e 2028 sarà compresa tra 405mila e 832mila unità. Sulle previsioni incide per lo più l’effetto positivo atteso dall’utilizzo dei fondi del Pnrr-Piano nazionale di ripresa e resilienza, che, nel caso di piena realizzazione degli investimenti, si stima possa attivare nel complesso circa 970mila occupati considerando sia gli effetti diretti che indiretti e sull’indotto. Le filiere maggiormente beneficiate saranno secondo le stime: “Finanza e consulenza” (con il 23% dell’impatto occupazionale complessivo del Pnrr), “Commercio e turismo” (21%), “Formazione e cultura” (12%), “Costruzioni e infrastrutture” e “Altri servizi pubblici e privati” (entrambe con il 10%). È quanto emerge del report sulle Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine, elaborato nell’ambito del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere in collaborazione con il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Per il presidente di Unioncamere Andrea Prete «questo, già di per sé, è un problema, perché poi scontiamo la carenza di competenze». «Noi – spiega – avremo necessità di 2,5 milioni di occupati con competenze green e digitali. Ogni anno ci mancheranno 30mila persone con un titolo di istruzione terziaria, nello specifico mancheranno intorno ai 22-23 mila laureati in ingegneria e scienze matematiche, fisiche e informatiche; intorno ai 12-13mila laureati in economia e statistica; circa 7-8mila laureati con indirizzo medico-sanitario; poi, mancheranno diplomi quinquennali e quanto altro».
«Lo scenario che abbiamo davanti – sottolinea – è di un Paese che invecchiando non trova più le persone per lavorare. Abbiamo meno nati di quanti vanno in pensione. Quello sarebbe un punto di crisi del sistema quando avremo più pensionati che occupati. In questo grava pesantemente il calo demografico. Nel 2028, se mantenessimo, dato il calo demografico, lo stesso tasso di occupazione del 2023, avremo 700mila occupati in meno. La popolazione è in decrescita e, con questo trend, nel 2050, l’Istat ci dice che avremo quattro milioni di italiani in meno e sette milioni e 660mila persone in meno in età da lavoro». Il presidente di Unioncamere fa notare anche che «c’è un dato che dobbiamo tenere presente, che è quello della immigrazione, che è l’unica opportunità che abbiamo». Si stima infatti che il fabbisogno di lavoratori immigrati da parte dei settori privati potrebbe raggiungere le 640mila unità. Il fabbisogno di personale straniero, calcolato come quota sul fabbisogno previsto del settore, inciderà maggiormente nell’agricoltura (35%) e nell’industria (28%), mentre a livello di filiera saranno particolarmente rilevanti i fabbisogni di “Moda” (45,7%), “Mobilità e logistica” (33%), “Agroalimentare” (32,1%), “Legno e arredo” (29,9%) e “Costruzioni e infrastrutture” (29,4%).
A determinare oltre il 18% dell’intero fabbisogno nazionale dello scenario positivo è la Lombardia – con un fabbisogno atteso di 709mila occupati – seguita dal Lazio (391mila unità, pari al 10,1% del totale), dal Veneto (326mila unità, 8,4%), dall’Emilia-Romagna (325mila unità, 8,4%) e dalla Campania (312mila unità, 8,1%).
Per quanto riguarda i livelli di istruzione, si prevede che tra il 37-38% del fabbisogno occupazionale riguarderà professioni per cui è richiesta una formazione terziaria (laurea, diploma Its Academy o Afam), mentre al 47-48% del personale sarà richiesto il possesso di una formazione secondaria di secondo grado tecnico-professionale.
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