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Pnrr in gran ritardo. Lo dice il governo


E ora? Questa è la domanda che sorge spontanea, dalla lettura dei dati ufficiali forniti dal governo sullo stato di avanzamento del Pnrr. Numeri che, come afferma il segretario confederale della Cgil Christian Ferrari: “Smentiscono la propaganda del governo sull’attuazione del Pnrr”. Un fatto, purtroppo: i dati ufficiali, quelli pubblicati dall’esecutivo Meloni sulla piattaforma ReGis sull’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza al 31 marzo 2025, non lasciano spazio a dubbi né a festeggiamenti visto che a fine febbraio si erano spesi meno del 34% dei fondi assegnati dall’Europa all’Italia. Allora non solo non vi è nulla da festeggiare, ma c’è molto di cui essere preoccupati. A tal proposito è il segretario a dire: “Si registra un pesantissimo ritardo nell’andamento della spesa, con il forte il rischio che falliscano o vengano riorientati alcuni interventi previsti originariamente dal Piano”.

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In ogni caso il punto della situazione lo ha fatto l’Area delle politiche per lo sviluppo della Cgil nazionale, analizzando i numeri ufficiali: “Complessivamente il Pnrr prevede risorse per 194,415 miliardi di euro. La spesa Pnrr dichiarata al 28 febbraio è pari a 65,724 miliardi di euro, il 33,81% del totale (il 31 ottobre la spesa era 58,604 miliardi). I pagamenti Pnrr effettuati al 31 marzo 2025 sono pari a 64,371 miliardi (al 13 dicembre 2024 i pagamenti erano 57,503 miliardi)”.

“I progetti censiti – sottolinea la Cgil – sono 284.066: prevedono fondi Pnrr per 157,389 miliardi di euro e mobilitano risorse comprensive di altre fonti di finanziamento pari a 212,657 miliardi di euro. Di poco meno di 11.000 progetti le amministrazioni competenti non hanno indicato la fase dell’iter di attuazione e di 876 non è stata avviata alcuna fase. Le procedure di gara bandite con Codice identificativo di gara al 31 marzo 2025 sono in totale 184.266 per un valore comprensivo di tutte le forme di finanziamento di quasi 153 miliardi di euro. L’importo complessivo delle aggiudicazioni è di circa 111 miliardi. Oltre 131.000 gare sono state assegnate mediante affidamento diretto”.

Riorientamento: questa la parola tanto cara prima al ministro Fitto e ora a al ministro Foti, che sembra essere una delle attività preferite dalle parti di Palazzo Chigi. La direzione di questo riorientamento, peraltro, è sempre la stessa: dirottare le risorse destinate alla spesa per infrastrutture sociali verso le imprese private per realizzare infrastrutture materiali. Davvero assai lontano dallo spirito originario del Pnrr. Ed è stata proprio Meloni ad affermare che più soldi alle imprese è meglio. “Il rischio che gli interventi originari falliscano o che vengano riorientati – aggiunge Ferrari – lo conferma il recente annuncio della presidente del Consiglio di voler utilizzare 14 miliardi del Pnrr (più 11 miliardi dei Fondi di Coesione) per l’ennesima ondata di incentivi alle imprese, senza vincoli e senza alcuna strategia”.

“E le cose potrebbero andare anche peggio – avverte il dirigente sindacale – considerato che, nell’ambito delle proposte di modifica sulla revisione intermedia della politica di coesione, attualmente in discussione al Parlamento europeo, è previsto che gli Stati membri e le Regioni possano identificare entro giugno 2025 i progetti del dispositivo per la ripresa e la resilienza che rischiano di non essere completati entro agosto 2026, proponendo il loro spostamento in programmi finanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr)”.

Ma non sarà che in questo modo, in maniera surrettizia e un po’ ipocrita, si pensi di aumentare le spese per gli armamenti? Il rischio è reale. È sempre Ferrari a dire: “La conseguenza più probabile è che in questo modo si crei una provvista economica utilizzabile per le politiche di riarmo. In Italia, tenuto conto delle risorse del Pnrr ancora da ricevere (attualmente oltre 72 miliardi), tale tesoretto potrebbe assumere dimensioni imponenti”.

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“Come Cgil – conclude il segretario confederale – siamo fermamente contrari all’ipotesi di finanziare, anche attraverso questa via, una conversione della nostra economia in un’economia di guerra, tradendo clamorosamente l’obiettivo fondamentale del Piano nazionale di ripresa e resilienza: ridurre diseguaglianze e divari territoriali, per costruire un modello di sviluppo socialmente e ambientalmente sostenibile”.



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