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La Cgil: Pnrr in pesantissimo ritardo, speso solo il 34% dei fondi


Il Pnrr non accelera, anzi. Complessivamente a fronte dei 194,415 miliardi di euro disponibili, stando all’aggiornamento dei dati pubblicato dal governo sulla piattaforma ReGis, la spesa dichiarata al 28 febbraio è pari a 65,724 miliardi di euro, il 33,81% del totale. Rispetto al 31 ottobre, quando la spesa era attestata a quota 58,604 miliardi l’avanzamento insomma è minimo. I pagamenti Pnrr effettuati al 31 marzo 2025, ovvero a poco più di un anno dalla fine del piano finanziato attraverso il Recovery fund, sono invece pari a 64,371 miliardi contro i 57,503 del 13 dicembre 2024.

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«Questi numeri smentiscono la propaganda del governo sull’attuazione del Pnrr: si registra un pesantissimo ritardo nell’andamento della spesa, con il forte il rischio che falliscano o vengano riorientati alcuni interventi previsti originariamente dal Piano» denuncia il segretario confederale della Cgil Christian Ferrari.

Stando all’analisi dell’Area politiche per lo sviluppo della Cgil nazionale, i progetti censiti sono 284.066, prevedono fondi Pnrr per 157,389 miliardi di euro e mobilitano risorse comprensive di altre fonti di finanziamento pari a 212,657 miliardi di euro. Di poco meno di 11 mila progetti le amministrazioni competenti non hanno indicato la fase dell’iter di attuazione e di 876 non è stata avviata alcuna fase. Le procedure di gara bandite con Codice Identificativo di gara al 31 marzo 2025 sono in totale 184.266 per un valore, comprensivo di tutte le forme di finanziamento, di quasi 153 miliardi di euro. L’importo complessivo delle aggiudicazioni è di circa 111 miliardi. Oltre 131 mila gare sono state assegnate mediante affidamento diretto.

«Ora c’è il rischio che gli interventi originari falliscano o che vengano riorientati» sostiene Ferrari citando a conferma di questa ipotesi «il recente annuncio della presidente del Consiglio di voler utilizzare 14 miliardi del Pnrr (più 11 miliardi dei Fondi di Coesione) per l’ennesima ondata di incentivi alle imprese, senza vincoli e senza alcuna strategia. E le cose potrebbero andare anche peggio – avverte il dirigente sindacale – considerato che nell’ambito delle proposte di modifica sulla revisione intermedia della politica di coesione, attualmente in discussione nel Parlamento europeo, è previsto che gli Stati membri e le regioni possano identificare entro giugno 2025 i progetti del dispositivo per la ripresa e la resilienza che rischiano di non essere completati entro agosto 2026, proponendo il loro spostamento in programmi finanziati dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR)».

Per Ferrari «la conseguenza più probabile è che in questo modo si crei una provvista economica utilizzabile per le politiche di riarmo. In Italia, tenuto conto delle risorse del Pnrr ancora da ricevere (attualmente oltre 72 miliardi), tale “tesoretto” potrebbe assumere dimensioni imponenti. Come Cgil – conclude il segretario confederale – siamo fermamente contrari all’ipotesi di finanziare, anche attraverso questa via, una conversione della nostra economia in un’economia di guerra, tradendo clamorosamente l’obiettivo fondamentale del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza: ridurre diseguaglianze e divari territoriali, per costruire un modello di sviluppo socialmente e ambientalmente sostenibile».

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