Da Novartis a Sanofi fino a Lvmh, le grandi aziende europee chiedono a Bruxelles di allentare la regolamentazione per favorire gli investimenti nel Vecchio Continente altrimenti, in risposta ai dazi di Trump, si vedranno costrette a delocalizzare negli Stati Uniti la propria produzione. Fatti, nomi e numeri
Ieri i Ceo di Novartis e Sanofi hanno scritto una lettera al Financial Times per chiedere alla Commissione europea di aumentare i prezzi dei medicinali in Europa allineandoli su quelli americani. Ma sono solo gli ultimi in ordine di tempo a rivolgersi a Bruxelles prima che sia troppo tardi. Ovvero prima che i dazi minacciati dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump entrino in vigore.
A metà aprile infatti oltre 30 aziende farmaceutiche avevano inviato una lettera alla Commissione Ue invocando aiuti per non essere costrette ad andarsene. Ma intanto c’è chi si porta avanti, come Roche, che ha annunciato un investimento da 50 miliardi di dollari negli Stati Uniti nei prossimi cinque anni.
E poi oltre alle big del settore farmaceutico anche uno degli uomini più ricchi al mondo, Bernard Arnault, proprietario di Lvmh, il più grande conglomerato del lusso (ugualmente colpito dal contesto economico) ha avvertito che potrebbe delocalizzare la produzione oltreoceano e ha aggiunto che “se questo accadrà sarà colpa di Bruxelles”.
LE PROPOSTE DI NOVARTIS E SANOFI
I controlli sui prezzi dei farmaci in Europa danneggiano l’innovazione e rendono la regione meno attraente, mentre gli Stati Uniti e la Cina la incentivano. Ad affermarlo nella lettera pubblicata dal FT sono Vas Narasimhan e Paul Hudson, rispettivamente i Ceo di Novartis e Sanofi.
I due hanno proposto un prezzo di listino a livello europeo per i nuovi farmaci, fissato “all’interno del range dei prezzi netti statunitensi” e aggiustato tramite sconti.
UNA PROPOSTA IRREALISTICA
Secondo una fonte citata da Reuters, la proposta di Novartis e Sanofi di allineare i prezzi di listino americani in Europa non è realistica, ma potrebbe essere possibile allinearsi ai prezzi netti statunitensi.
I prezzi di listino infatti sono fissati dai produttori di farmaci prima degli sconti, mentre i prezzi netti riflettono ciò che i governi, le assicurazioni o i gestori delle farmacie statunitensi pagano effettivamente dopo gli sconti. I governi europei negoziano direttamente con i produttori per ottenere prezzi netti più bassi e spesso i prezzi finali non vengono resi noti.
Come ricorda l’agenzia di stampa, gli Stati Uniti pagano i farmaci più di qualsiasi altro Paese, spesso quasi il triplo rispetto ad altri Paesi sviluppati. Ecco perché Trump starebbe valutando la possibilità di ridurre i prezzi portandoli ai livelli internazionali, ma non è ancora chiaro come intende farlo.
L’APPOGGIO DI ASTRAZENECA
Si schiera con Novartis e Sanofi anche Astrazeneca, il cui Ceo Pascal Soriot ha dichiarato che così come l’Europa ha aumentato le spese per la difesa, ora deve fare lo stesso e investire di più per proteggere la propria sovranità sanitaria in un ordine mondiale in continua evoluzione.
“L’Europa – ha detto – spende una quota del PIL sostanzialmente inferiore a quella degli Stati Uniti per i farmaci innovativi e, di conseguenza, è in ritardo nell’attrarre investimenti in R&S e produzione, mettendo a rischio la capacità di proteggere la salute dei suoi cittadini”.
L’APPELLO DI DECINE DI AZIENDE PHARMA
La lettera di Novartis e Sanofi fa seguito a un’altra missiva inviata alla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, sempre ad aprile, da 32 aziende farmaceutiche. Queste, oltre a sollecitare il sostegno dell’Ue, la semplificazione dei regolamenti e a dirsi contrarie a una tassa che il settore dovrà presto pagare per il trattamento delle acque reflue da microinquinanti, non avevano avanzato reali proposte ma affermavano che l’Europa deve ripensare le proprie politiche di prezzo.
La richiesta, arrivata pochi giorni dopo l’incontro tra von der Leyen e gli amministratori delegati del settore farmaceutico, era stata sottoscritta, tra gli altri, dai Ceo di Pfizer, AstraZeneca, Bayer, Eli Lilly e Novo Nordisk.
CHI INVESTE NEGLI USA
Durante l’incontro con von der Leyen, i produttori hanno avvertito la presidente della Commissione Ue che i dazi statunitensi avrebbero accelerato lo spostamento dell’industria dall’Europa verso gli Stati Uniti, il più grande mercato per fatturato per le Big Pharma. Secondo Eurostat, infatti, nel 2023 queste esportazioni hanno raggiunto circa 90 miliardi di euro.
In realtà, quanto anticipato dai produttori sta già accadendo. Un paio di giorni fa la svizzera Roche ha fatto sapere che investirà 50 miliardi di dollari negli Usa nei prossimi cinque anni. Ma non è la sola, Novartis ha in programma di investire oltreoceano 23 miliardi di dollari, l’anglo-svedese Astrazeneca ha raddoppiato i suoi piani di espansione, annunciando una spesa di 2 miliardi di dollari per la ricerca e lo sviluppo e per gli impianti di produzione di farmaci biologici e terapie cellulari. La britannica Gsk ha detto che investirà fino a 800 milioni di dollari nel sito della Pennsylvania, il più grande investimento produttivo nel Paese.
A loro si aggiungono poi le statunitensi Johnson & Johnson che ha pianificato un aumento degli investimenti negli Usa del 25%, per un totale di oltre 55 miliardi di dollari nei prossimi quattro anni ed Eli Lilly che ha in programma di spendere almeno 27 miliardi di dollari per costruire quattro nuovi impianti di produzione negli Stati Uniti.
ANCHE LVMH MINACCIA DI EMIGRARE
Le case farmaceutiche non sono le uniche a temere per gli effetti dei dazi. Anche Arnault, fondatore del gigante del lusso Lvmh, recentemente scalzato da Hermès per capitalizzazione di mercato, ha minacciato Bruxelles che “se l’Europa non riuscirà a negoziare [con Trump] in modo intelligente, ci saranno conseguenze per molte imprese”.
“Mentre la maggior parte degli analisti attribuisce l’incertezza che spaventa gli investimenti all’amministrazione Trump e ai suoi nebulosi obiettivi commerciali, Arnault sostiene che è l’Unione europea a doversi assumere la responsabilità di trovare un accordo che protegga i suoi interessi senza aumentare le tariffe”, scrive Politico.
Il milionario francese, presente all’insediamento di Trump a gennaio e fan dichiarato del piano del presidente di ridurre le tasse e la burocrazia per invogliare i produttori a trasferire la produzione negli Stati Uniti, ha anche criticato l’Ue di essere una “potenza burocratica che passa il tempo a emanare regolamenti che purtroppo vengono imposti a tutti i Paesi membri” e ha proposto una “zona di libero scambio” tra Usa e Ue, come già chiesto da Elon Musk.
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