Allarme ritardi per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Un’occasione per ridefinire priorità e politiche del nostro Paese. Nato dopo il periodo funesto della pandemia, il Pnrr è il programma con cui il governo intende gestire i fondi Next generation Eu. Ovvero, lo strumento di ripresa e rilancio economico introdotto dall’Unione Europea per risanare le perdite causate dalla pandemia mondiale. Una struttura ben articolata e modulata in sei missioni, organizzate in componenti, ognuna delle quali comprende una serie di misure, che spaziano dalle riforme normative agli investimenti economici. Dalla transizione ecologica a quella digitale, passando per i pilastri dei diritti fondamentali sanità e scuola, trasporti e giustizia. Complessivamente 358 misure e sub misure, di cui 66 riforme e 292 investimenti. Siamo in ritardo. Non è un’opinione, è nei numeri. Il Piano è in affanno, la spesa procede più lenta del previsto, e le scadenze sono sempre più vicine, fissate a cadenza trimestrale, lungo uno o più anni dal 2021 al 2026. L’Italia per il suo tramite Georgetti ha chiesto all’Europa una proroga al 2027. Ma da Bruxelles la risposta è secca: il termine resta al 2026. Ministeri e Comuni sono in affanno, arrancano dietro i progetti delle missioni del Pnrr e navigano a vista. I dati non coincidono: la Ragioneria certifica una spesa lenta, il governo rilancia con cifre ottimistiche. Il problema non è tanto la contabilità, quanto la sostanza. I soldi ci sono, l’Italia è tra i paesi che ha incassato più di tutti ma si rischia di essere tra quelli che non riescono a spenderli. Mentre, sanità, scuola e cantieri restano in piedi per scommessa, con notevoli problemi e difficoltà, il ritardo è nel motivo storico dell’Italia, che sarebbero gli stessi problemi che i fondi del Pnrr dovrebbe aiutare a risolvere che nei fatti ostacolano l’attuazione dei lavori e l’uso degli stanziamenti: burocrazia, deficit di infrastrutture e mancanza di personale tecnico. I conti non tornano a quattordici mesi dalla conclusione del percorso ed emergono serie preoccupazioni sul raggiungimento del traguardo. Due miliardi su tre non sono stati ancora spesi. Gli anni sono passati, i bandi sono scaduti, le assegnazioni sono avvenute, i convegni e le conferenze stampa di presentazione hanno pavoneggiato opere, cantieri, rimodernamento, rifacimento, cambiamenti storici ed evoluzioni in molti settori, con grandi aspettative, ma il rapporto tra gli investimenti europei del Pnrr e i soldi effettivamente spesi resta sempre quello. Tante, forse troppe le revisioni. L’ultima, voluta dal governo Meloni avrebbe rallentato lavori per 29,6 miliardi. A poco più di un anno alla fine del Pnrr dei 194,4 miliari di euro totali, al 31 dicembre scorso ne avevamo spesi il 64 miliardi, ovvero il 35,6%. Secondo le stime della Banca d’Italia, 42,4 miliardi non sono nemmeno stati identificati i soggetti attuatori, come per la Missione 7, quella relativa alla produzione di energia e di fonti rinnovabili e il potenziamento delle reti di distribuzione. Il 40% dei cantieri avviati è in ritardo, l’altro 40% è completato, ma si tratta di cantieri piccoli, quelli che sfiorano i 5 milioni di euro non trovano completezza. Per i progetti di competenza dei Comuni, è in fase di esecuzione il 74,4% delle gare. Restiamo indietro nel settore giustizia, mancano ancora molti addetti all’ufficio del processo, e resta un miraggio lo snellimento dei procedimenti del sistema giudiziario italiano. La carenza di personale si traduce in un aumento della durata media dei procedimenti civili, che invece dovrebbe essere ridotta del 40% entro giugno 2026. Obiettivo che sembra davvero lontano. Male gli studentati. Il Pnrr dovrebbe creare 60 mila nuovi posti letto, ma la stima si è ridotta a 23mila. Cresce nel frattempo il privato, dove gli investimenti per studentati è cresciuto del 18% nel 2024. Male anche gli asili nido, che già avevano miliari di euro totali. Risultano ad oggi, secondo i dati dell’Ufficio parlamentare di bilancio attivi 3.199 progetti, solo 88 sono stati completati. Non si riesce a completare neppure la transizione energetica. Ci si annoda nella burocrazia, manca una cabina di regia, si fronteggia il caro materiali; non ci sono risorse per coprire gli extracosti e infine, i tempi di controlli troppo lunghi per carenza di personale. E’ una sfida, senza mezzi termini, rispettare la scadenza e ultimare opere e progetti che significherebbero innovazione e possibilità per i cittadini italiani. Ce la faremo? Certo è che il Pnrr ha posto una sfida ambiziosa e coraggiosa, rispondendo a difficoltà significative. La speranza è che si continui anche dopo il 2026, ma se anche non dovesse esserci una continuità operativa, ci sarà sicuramente un’eredità di risultato nelle opere e nei progetti che troveranno completezza e di metodo perché quantomeno si sono acquisite buone prassi e attitudini alla collaborazione interistituzionale, contrariamente a quanto avveniva, creando le condizioni per misurare l’impatto in termini di soddisfazione del fabbisogno. Sarà che il Pnrr ci faccia comprendere pratiche e prassi, errori e miglioramenti?
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