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Il successo (parziale) del credito d’imposta nel Mezzogiorno: investimenti sì, produttività no


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Il credito d’imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno ha avuto un impatto positivo e misurabile sull’economia del Sud Italia nel periodo 2016-2020. Ogni euro di agevolazione fiscale ha attivato 1,1 euro di investimenti privati, con un totale di quasi 1,3 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi generati a fronte di 1,2 miliardi di credito d’imposta effettivamente utilizzati dalle imprese. Il beneficio si è concentrato soprattutto tra le imprese più piccole e nei settori dei servizi, mentre l’efficacia è risultata nulla per le grandi imprese e in ambito industriale. Tra gli effetti indiretti più rilevanti si segnala l’aumento medio del credito bancario concesso alle imprese beneficiarie (+18%), la crescita dell’occupazione con un incremento del numero di dipendenti pari al 7,7% e un aumento significativo anche delle immobilizzazioni immateriali, considerato un indicatore di attività in ricerca e sviluppo. Il credito, nel dettaglio, è cresciuto da circa 50 a oltre 59 miliardi di euro, con un incremento complessivo stimato attorno al 18,1%. 

È quanto emerge da un’analisi del Centro studi di Unimpresa, secondo cui non si registrano, invece, miglioramenti apprezzabili sulla produttività del lavoro. Gli effetti si sono concentrati nel triennio 2018-2020, periodo in cui si è registrato un maggiore utilizzo dell’incentivo da parte delle imprese. La maggiorazione prevista nelle Zone economiche speciali (ZES) non ha prodotto stimoli aggiuntivi rispetto alla misura ordinaria, a causa della limitata platea coinvolta e delle difficoltà burocratiche. Solo il 20% delle imprese potenzialmente eleggibili ha effettivamente frutto del credito d’imposta, segnale di un limite nella diffusione dello strumento che – secondo Unimpresa – andrebbe superato attraverso meccanismi più accessibili, campagne informative e assistenza tecnica per le micro e piccole imprese. I dati dimostrano con chiarezza che il credito d’imposta per il Sud ha funzionato. Ha stimolato investimenti reali, ha favorito l’occupazione e ha rafforzato l’accesso al credito per migliaia di imprese meridionali. Le misure come questa rappresentano il miglior esempio di politica economica utile e concreta, capace di trasformare la leva fiscale in crescita e sviluppo. Il governo farebbe bene a rimettere in pista strumenti analoghi, soprattutto in un momento in cui il Mezzogiorno rischia di essere lasciato indietro nella ripresa post-pandemia e nella transizione digitale ed energetica. Servono interventi automatici, semplici, stabili e accessibili a tutte le imprese, senza burocrazia soffocante. Non possiamo ci disperdere un modello che ha dimostrato di funzionare: bisogna consolidarlo, rafforzarlo e rendere strutturale» commenta il direttore generale di Unimpresa, Mariagrazia Lupo Albore. 

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Secondo il Centro studi di Unimpresa, che ha elaborato dati e informazioni della Banca d’Italia, nel periodo compreso tra il 2016 e il 2020, il credito d’imposta per gli investimenti nelle regioni del Mezzogiorno si è dimostrato uno strumento efficace per stimolare l’accumulazione di capitale fisico e la crescita dell’occupazione, in particolare tra le piccole imprese operanti nel settore dei servizi. L’analisi, nel dettaglio, si è concentrata sulla valutazione dell’efficacia del credito d’imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno, introdotto con la legge 208 del 2015 e prorogato fino al 2020: si tratta delle norme volte a promuovere investimenti materiali, occupazione e performance economica delle imprese. 

Ne è emerso che, a fronte di un sostegno pubblico complessivo pari a circa 1,2 miliardi di euro, le imprese beneficiarie hanno generato investimenti aggiuntivi per quasi 1,3 miliardi, con un moltiplicatore pari a 1,1: ogni euro speso dallo Stato ha prodotto 1,1 euro di investimenti privati. Si tratta di una dinamica che conferma la validità degli incentivi automatici, semplici nell’accesso e generalizzati nel meccanismo, come leva di politica economica nelle aree meno sviluppate del Paese. L’impatto positivo si è manifestato soprattutto nel triennio 2018-2020, periodo in cui si è registrato un utilizzo più intenso dello strumento da parte delle imprese, mentre nel biennio iniziale 2016-2017 i risultati sono stati più contenuti, anche a causa della fisiologica lentezza nell’avvio degli investimenti.

Le imprese che non avevano accesso ad altri incentivi fiscali – come super e iper-ammortamento o Nuova Sabatini – hanno mostrato una maggiore reattività, segno che la misura ha effettivamente attratto risorse fresche in assenza di sovrapposizione con altri strumenti. Non emergono invece segnali apprezzabili sulla produttività del lavoro, a conferma del fatto che gli investimenti incentivati hanno riguardato prevalentemente il rinnovo del capitale fisico, ma non sono stati sufficienti, da soli, a determinare un salto di qualità nei processi produttivi. Nessun effetto differenziale significativo è stato riscontrato in relazione alla maggiorazione prevista per le Zone economiche speciali, un aspetto che solleva interrogativi sulla reale efficacia di incentivi territoriali molto circoscritti e sulla loro capacità di attrarre investimenti aggiuntivi rispetto a quelli già indotti dalla misura base. 

Il credito, nel dettaglio, è cresciuto da circa 50 a oltre 59 miliardi di euro, con un incremento complessivo stimato attorno al 18,1%. Ne emerge una relazione virtuosa tra incentivo pubblico e fiducia del sistema finanziario: le imprese che hanno usufruito del credito d’imposta sono risultate più solide agli occhi degli istituti di credito, ricevendo maggiori affidamenti, probabilmente grazie alla percezione di un rafforzamento patrimoniale e alla disponibilità di risorse destinate a nuovi investimenti. Tale aumento, oltre a essere frutto del potenziamento della capacità d’investimento, ha avuto anche un effetto moltiplicatore, consentendo alle imprese di accedere a fonti di finanziamento complementari al beneficio fiscale. La dinamica è particolarmente rilevante nelle regioni del Sud, dove tradizionalmente le condizioni di accesso al credito sono più restrittive rispetto al resto del Paese, e dimostra come un intervento pubblico ben disegnato possa generare un impatto sistemico, mobilitando risorse private e facilitando la crescita economica anche attraverso il canale bancario. 

Il credito d’imposta per il Sud, pur con i suoi limiti, rappresenta un modello da rafforzare e replicare, anche oltre la scadenza del regime agevolato, per promuovere uno sviluppo più equilibrato del sistema produttivo italiano. Tuttavia, la misura ha coinvolto meno del 20% delle imprese potenzialmente eleggibili, un dato che impone una riflessione seria sull’accessibilità degli strumenti fiscali e sulla necessità di accompagnarli con azioni di informazione e assistenza, soprattutto nelle aree più fragili. In prospettiva, andrebbe favorita una maggiore integrazione tra incentivi fiscali e misure per l’innovazione tecnologica e digitale, affinché l’aumento degli investimenti non si traduca solo in un ammodernamento marginale degli impianti, ma contribuisca a una vera trasformazione strutturale dell’apparato produttivo meridionale.

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