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Il modello italiano come leva per l’approccio europeo all’IA


L’Europa si trova a un bivio strategico nella competizione globale con USA e Cina. Per emergere in un contesto di rapida evoluzione tecnologica come quello dell’intelligenza artificiale, l’Europa deve valorizzare le proprie unicità culturali e trasformarle in vantaggi competitivi, abbandonando la logica dell’inseguimento per costruire un percorso autonomo e distintivo.

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La cultura americana e l’approccio espansivo all’IA

Il panorama globale dell’Intelligenza Artificiale (IA) è oggi un campo di battaglia strategico, dove tre giganti – Stati Uniti, Europa e Cina – si contendono la leadership con filosofie e strategie profondamente diverse. Analizzare questi approcci è fondamentale per comprendere le dinamiche in gioco e per delineare percorsi competitivi efficaci, specialmente per l’Europa.

Gli Stati Uniti incarnano una cultura dell’abbondanza e del pragmatismo che si riflette in maniera lampante nel loro approccio all’IA. Come giustamente sottolineato, la mentalità americana è orientata al “pensare in grande” e alla disponibilità di risorse pressoché illimitate. Questa filosofia si manifesta in ogni aspetto, dalla vita quotidiana – dove un’utilitaria americana può apparire sovradimensionata rispetto agli standard europei, con motorizzazioni potenti e spazi interni generosi, così come un hamburger “standard” può raggiungere dimensioni e varietà di condimenti impensabili altrove – fino alle strategie industriali e tecnologiche.

Tutti abbiamo l’immagine del texano che compra la fontana di trevi ma questa capacità di gestire cose in grande e governare la complessità senza spaventarsi c’è su tantissimi aspetti. Qualche anno fa, prima di stellantis, la FIAT sarebbe stata considerata una media azienda USA mentre qui era di gran lunga la più grande. Gli USA sono il paese del più grande esercito del mondo, degli investimenti a suon di “billion” nell’IA ma anche in molti altri settori, la borsa brucia e crea denaro in un giorno quanto il PIL di un paese.

Nel contesto dell’IA, questa mentalità si traduce in investimenti colossali, nella capacità di aggregare e gestire immense quantità di dati e nell’audacia di affrontare rischi elevati in nome dell’innovazione. Gli hyper-scaler americani, con le loro infrastrutture di calcolo di portata inimmaginabile per la maggior parte del mondo, ne sono l’esempio più lampante.

La loro reattività di fronte alle sfide, come la proposta di riaprire centrali nucleari per garantire l’alimentazione dei data center o lo sviluppo del fracking per superare la dipendenza energetica, dimostra una cultura orientata alla soluzione, anche se radicale. Il mercato dei capitali, con la Borsa di New York che gestisce volumi di transazioni senza pari, e la facilità con cui le startup tecnologiche accedono a finanziamenti milionari, se non addirittura miliardari, creano un ecosistema propizio alla crescita e all’innovazione disruptive nell’IA.

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I punti di forza e i limiti dell’approccio europeo all’intelligenza artificiale

L’Europa è la custode di una ricca tradizione di pensiero e di un forte senso del diritto. L’approccio europeo all’IA è intrinsecamente legato alla sua storia, ai suoi valori e alla sua complessa struttura politica e sociale. La tendenza a definire regole, standard e procedure prima di abbracciare pienamente una nuova tecnologia come l’IA è profondamente radicata nella cultura europea, erede del diritto romano e di una lunga tradizione filosofica e politica.

L’Europa è l’area del globo nel quale nascono standard, sistemi di regole e procedure. Una grande capacità di “metodologizzare” ciò che viene fatto in pratica, siamo l’area dove nasce il pensiero scientifico (anche se le scoperte scientifiche sono nate in oriente da noi hanno trovato la codifica precisa). Io, da europeo, mi trovo molto in questo approccio anche se non sempre arriva all’obiettivo in modo pragmatico.

L’Europa è anche il Paese dove la filosofia occidentale è nata e ha preso piede, fa parte della nostra cultura chiedersi il perché e il per come di ogni cosa. Questo è un bene ma alcune volte esageriamo e ci soffermiamo troppo a cercare il significato delle macchine senza nemmeno prima cominciare a capire come funzionano o ad utilizzarle. Nell’AI questo fenomeno è particolarmente evidente.

Fino a qualche decennio fa i fisici e i matematici, gli scienziati in generale, erano anche filosofi e si ponevano il problema di cosa stavano studiando. Molti degli scienziati che hanno contributo attivamente alla messa a punto della prima bomba atomica hanno poi contribuito al dibattito sull’uso della bomba atomica, ad esempio, Galileo non era solo uno scienziato ma con le sue scoperte ha contributo ad interpretare il mondo arrivando a pagarne pesantemente le conseguenze. Oggi la scienza è sempre più specialistica, non di rado si concentra sugli aspetti tecnici senza farsi domande fino ad alcune derive (non europee per la verità) nelle quali immagina un mondo comandato e gestito dall’AI con una fiducia cieca nella tecnologia.

Questa attenzione al quadro normativo si manifesta nella meticolosa elaborazione di leggi e direttive volte a garantire un utilizzo etico e responsabile dell’IA. Sebbene questa cautela sia animata da nobili intenti – proteggere i diritti dei cittadini, garantire la trasparenza e prevenire abusi – essa rischia di tradursi in una lentezza nell’adozione e nello sviluppo dell’IA rispetto a contesti meno vincolati da rigidi schemi regolatori iniziali. Per altri versi avere un sistema di regole consente di costruire qualcosa meglio, perché l’innovazione ad un certo punto si troverà sempre di fronte la necessità di essere regolata e arrivarci prima non è detto che sia sempre male. La frammentazione del mercato europeo, con le sue diverse lingue, culture e normative nazionali, rappresenta un’ulteriore sfida alla creazione di un ecosistema dell’IA coeso e competitivo a livello globale.

Tuttavia, la ricchezza di competenze specialistiche, la forte attenzione alla qualità e alla precisione (tipiche di nazioni come Germania e Regno Unito) e una solida base di ricerca scientifica rappresentano punti di forza su cui l’Europa può fare leva. Certo l’Europa non ha le risorse degli USA e nemmeno la capacità di gestire e governare la complessità, quando la Commissione europea parla di mobilitare 200 miliardi di euro da investire (il che significa che il pubblico ne mette una parte sperando che i privati ne mettano il resto) gli USA mobilitano quasi un trilione di dollari con alcune aziende che si mettono insieme. L’Europa non ha una industria dei chip e anziché immaginare uno sforzo per costruirla cerca di attirare i produttori USA a produrre da noi, in USA ormai molte aziende private come Microsoft, Google ma anche più piccole stanno progettando e producendo i loro processori visto che si sono ridotti i costi di progettazione e produzione.

La strategia cinese tra visione collettiva e ottimizzazione delle risorse

La Cina, infine, incarna un pragmatismo efficiente e una determinazione collettiva verso obiettivi strategici. Il celebre detto attribuito a Deng Xiaoping, “Non importa se il gatto è bianco o nero, purché catturi i topi”, riassume efficacemente lo spirito cinese: concentrarsi sul risultato pratico, superando le ideologie e le formalità. Che la massima sia di Deng Xiaoping o di origine più antica poco importa; essa riflette una cultura orientata all’azione e all’efficacia.

La Cina è anche il paese della visione a lungo termine, degli interessi collettivi su quelli individuali (questo nasce molto prima della rivoluzione socialista di Mao). Questo comporta che sa costruire intorno ad obiettivi collettivi mobilitazioni di enormi masse di persone senza pari nel mondo.

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La Cina, forte di una popolazione numerosa e di un governo con una visione centralizzata, ha dimostrato una straordinaria capacità di mobilitazione di risorse e di implementazione di strategie su larga scala nel settore dell’IA. Pur non disponendo delle stesse abbondanti risorse degli Stati Uniti, la Cina ha sviluppato una cultura del risparmio e dell’ottimizzazione, che si traduce in una grande precisione e attenzione ai dettagli nello sviluppo tecnologico. Il rapido avanzamento tecnologico cinese negli ultimi decenni, unito a massicci investimenti in ricerca e sviluppo e alla disponibilità di un enorme bacino di talenti professionali, ha proiettato il paese ai vertici della competizione globale nell’IA.

La loro familiarità con la gestione di grandi numeri, sia in termini di popolazione che di dati, rappresenta un vantaggio competitivo significativo nell’era dell’apprendimento automatico e dei big data. L’approccio cinese agli LLM è che se non posso avere grandi risorse per implementare grandi modelli cerco di studiare come fare training più efficiente e di qualità, come superare questa difficoltà e alla fine è uscito Deepseek. Deepseek è uno dei tanti modelli LLM cinesi disponibili con tecniche sofisticate di training, ha cambiato e migliorato le tecniche di training ma anche di esecuzione sui processori in modo da poter dare gli stessi risultati con molto meno risorse. Le grandi big tech USA si appellano alle risposte indirizzate e compiacenti al governo cinese ma siccome sono open source e possono essere finalizzati questo problema si supera facilmente. L’impatto vero è sul business dei grandi colossi USA che vedono bruciare il loro modello di business basato sul fatto che nessuno può fare le cose grandi come loro e dunque nessuno può competere.

Il modello italiano come leva per l’approccio europeo all’IA

Di fronte a questi scenari, la domanda cruciale per l’Europa è: come competere con successo? La risposta potrebbe risiedere in un approccio che valorizzi le peculiarità del talento e della cultura europea, combinando creatività e rigore.

In questo contesto, l’approccio “all’italiana” può rappresentare un elemento di svolta. L’Italia è storicamente una fucina di ingegno, creatività e capacità di trovare soluzioni innovative con risorse limitate. La “furbizia” e la “scaltrezza” nel concepire idee originali e percorsi non convenzionali potrebbero permettere all’Europa di identificare nicchie e sviluppare soluzioni che sfuggono alla portata dei giganti americano e cinese, focalizzati spesso su grandi numeri e approcci standardizzati.

Un approccio all’italiana inteso come l’arte di arrangiarsi, la capacità di trasformare la scarsità in risorsa o di trovare le scorciatoie dove gli altri hanno il metodo. Un po’ Totò che vende la fontana di Trevi e un po’ la capacità emiliana di competere nei mercati internazionali con tecnologie e capacità imprenditoriale. Gli italiani che non hanno mai avuto successo con le guerre coloniali (malgrado i massacri compiuti con mezzi deprecabili) ma che hanno un soft power che gli consente di essere apprezzati e benvoluti a livello internazionale grazie ai migranti che dove sono andati hanno saputo farsi ben volere (non tutti e non sempre) e conquistare ruoli governativi in più di una occasione.

Combinare creatività e disciplina per un modello europeo efficace

L’Europa ha bisogno di trovare delle scorciatoie, di insinuarsi dove gli altri non sono e di raggiungere l’obiettivo in modo differente non di inseguire, perché inseguire i giganti dell’AI non è alla nostra portata.

Gli spazi ci sono, l’AI è ancora una tecnologia nuova e molte cose ancora sono da scoprire. I cinesi stanno dimostrando che esistono sistemi alternativi per addestrare i modelli, per crearne di nuovi, spazi enormi di miglioramento delle tecnologie attuali. L’Europa ha un patrimonio di ingegno che messo a sistema (ovvero facendolo lavorare come fosse una sola nazione) avrebbe delle opportunità ma se continua a sperare di raggiungere gli altri inseguendoli rischia di continuare ad avere un ruolo insignificante.

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Tuttavia, la sola genialità non basta. Una volta individuate queste “mosse” innovative, è fondamentale che l’Europa sappia capitalizzarle attraverso un’organizzazione efficiente e una disciplina rigorosa. È qui che le competenze di paesi come la Germania (con la sua disciplina e la sua attenzione ai processi), la Francia (con la sua cultura della burocrazia efficiente e della pianificazione strategica) e la Spagna (con la sua crescente capacità di implementazione e la sua visione strategica in settori chiave) possono giocare un ruolo cruciale.

L’auspicio è quindi che l’Europa possa evolvere verso un modello in cui la scintilla creativa e l’intuizione “italiana” si sposino con la capacità organizzativa e la meticolosità “tedesca”, la visione strategica “francese” e la pragmatica implementazione “spagnola”. Solo attraverso una sinergia di talenti e approcci, che valorizzi la diversità culturale europea, sarà possibile competere efficacemente nel panorama globale dell’intelligenza artificiale.

In conclusione, se l’Europa vuole giocare un ruolo da protagonista nella rivoluzione dell’IA, deve superare la dicotomia tra la necessità di regolamentazione e l’urgenza di innovazione. Un approccio che sappia attingere alla genialità creativa tipica italiana per ideare soluzioni uniche, per poi affidarsi alla solidità organizzativa e alla disciplina di altri paesi europei per la loro implementazione su larga scala potrebbe rappresentare la chiave per trasformare le sfide attuali in opportunità concrete per il futuro del continente.

Riusciranno i nostri eroi a non perdere queste opportunità per gelosia reciproca, diffidenza e per la superbia di alcuni paesi che credono ancora di essere migliori di altri?



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