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AI nemica dell’ambiente? La verità nel rapporto IEA 2025


Energia e più in generale sostenibilità sono spesso evocate nella letteratura sull’intelligenza artificiale (IA) per finalità opposte.

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AI e sostenibilità: due visioni

  • Da un lato, i tecno-catastrofisti inseriscono nel loro fitto cahier de doléances gli elevati consumi energetici e ambientali dell’IA e delle infrastrutture e tecnologie connesse.
  • Dall’altro, i tecno-ottimisti evidenziano le grandi potenzialità di riduzione dei consumi di energia e delle emissioni di anidride carbonica derivanti proprio dall’impiego di modelli più evoluti di IA, congiuntamente all’Internet of Things, al 5G, ecc.

Pur non sottovalutando affatto né le prime né le seconde argomentazioni (e allo stesso tempo ritenendo che il progresso tecnico abbia alla lunga un impatto netto positivo), ho sempre creduto che spesso si tenda a sovra-enfatizzare il loro ruolo.

Il rapporto IEA (l’Agenzia Internazionale dell’Energia) su AI

L’ampio e dettagliato rapporto uscito nei giorni scorsi che l’Agenzia Internazionale dell’Energia (nota agli specialisti con il suo acronimo inglese, IEA) ha riservato ai rapporti tra IA ed energia fa giustizia di molti allarmismi così come di entusiasmi poco fondati, snocciolando con metodo scientifico una lunga serie di dati. Basati su diversi scenari che ovviamente, in base a come effettivamente andranno le cose, potrebbero realizzarsi o meno ma molto difficilmente potranno dar luogo ai disastri annunciati da molti.

Specie in conseguenza dello sviluppo effettivamente enorme registrato dai data center, l’infrastruttura principale della moderna IA (anche se occorre sempre ricordare come i data center siano al servizio della più ampia rivoluzione digitale e non solo di quella dell’IA, che al momento sembra pesare per molto meno della metà della capacità complessiva e dunque dei consumi di energia).

La crescita resistibile dei consumi energetici dei data center

Partiamo da quello che abbiamo oggi sotto gli occhi. Nonostante la crescita enorme della capacità avvenuta negli ultimi anni, i data center nel 2024 pesavano sui consumi elettrici mondiali per l’1,5%. Molto meno di tanti altri usi dell’elettricità. Ad esempio, il raffreddamento degli spazi chiusi ha causato nel decennio 2014-24 un aumento della domanda di elettricità di ben 700 TWh contro i 250 TWh dei data center.

Nonostante un aumento del traffico di Internet che, secondo quanto riportava una precedente analisi della IEA, è cresciuto di circa sette volte tra il 2015 e il 2022. Se non c’è allora un’emergenza mondiale, è pur vero che desta qualche preoccupazione in più la concentrazione geografica. Stati Uniti, Cina ed Europa costituiscono insieme l’85% dei consumi ma mentre nel Paese nordamericano la percentuale sulla domanda elettrica ha superato il 4% in Europa è (di poco) sotto la soglia del 2% (sostanzialmente a pari merito con il Giappone) e in Cina ha appena superato l’1%.

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Quattro scenari futuri

Rivolgendo lo sguardo al futuro, la IEA elabora quattro possibili scenari, quello di base al quale si affiancano quelli di “decollo”, conseguente a un aumento dell’adozione dell’IA maggiore del previsto, “elevata efficienza”, che consente a parità di domanda digitale maggiore efficienza energetica, e di “vento contrario”, corrispondente a un tasso di adozione dell’IA minore del previsto. 

Nello scenario di base, è vero che la percentuale sulla domanda di elettricità raddoppierebbe al 2030 passando al 3% ma l’aumento dei consumi derivanti da data center costituirebbe meno del 10% dell’incremento atteso della domanda, molto meno della variazione associabile al trasporto elettrico, agli elettrodomestici e al condizionamento.

Perfino nello scenario più pessimistico (quantomeno per i profili di sostenibilità), quello di “decollo”, il peso sulla domanda elettrica arriverebbe solo nel 2035 al 4,4%, comunque una percentuale assolutamente sotto controllo.

L’elemento più preoccupante riguarda solo alcune regioni all’interno delle aree citate. Ad esempio, il Northern Virginia, vero e proprio epicentro mondiale grazie agli incentivi e alla prossimità geografica a Washington, oppure in Europa l’Irlanda. Ma a parte casi specifici e ben localizzati, il quadro appare sufficientemente confortante da non indurci a disinteressarci del fenomeno ma a gestirlo senza particolari isterie. Anche per altre tre circostanze ben approfondite nel rapporto.  

Investimenti in fonti pulite limitano gli impatti ambientali

Su impulso dei governi ma in primis anche delle aziende, a partire da quelle più grandi, l’aumento della domanda di elettricità è stato e sarà sempre più coperto con fonti rinnovabili e nucleare. Tra il 2010 e il 2022, Amazon, Microsoft, Meta e Google sono stati i 4 principali sottoscrittori a livello corporate di contratti PPA a livello mondiale, per una potenza complessiva FER pari a quasi 50 GW, corrispondente alla capacità di generazione di un Paese come la Svezia.

La IEA prevede che nello scenario base circa metà dell’aumento di domanda elettrica derivante dai data center sarà coperto da fonti rinnovabili. Dato che tuttavia le rinnovabili più diffuse ed economiche non sono programmabili, ecco dunque che ci sarà spazio anche per gas naturale e nucleare. Il contributo del primo potrebbe essere di 175 TWh nello scenario base (poco più di un terzo del gas naturale) e in quello di decollo di 290 TWh.

Per il secondo la nuova capacità dovrebbe coincidere dal 2030 in avanti soprattutto con gli small modular reactors (SMRs), di cui sono stati già annunciati progetti di sviluppo legati all’alimentazione dei data center per circa 25 GW.  Tutto questo impegno in fonti ad emissioni zero (rinnovabili e nucleare) o comunque relativamente basse (gas naturale) si traduce in un trend di emissioni di gas ad effetto serra che continueranno ad aumentare nei prossimi anni, soprattutto per effetto del ruolo del carbone nel mix elettrico di Paesi come Cina e India, ma dovrebbero raggiungere nel 2030 un picco intorno all’1% del totale prima di iniziare a diminuire negli anni seguenti.

Lo stesso consumo di risorse idriche non sembra in generale un problema così drammatico se nel 2023 quello legato al raffreddamento era meno della metà di quello derivante dalla generazione elettrica necessaria per alimentare i data center. Si prevede che nel 2030 la prima componente possa aumentare significativamente ma rimanendo comunque al di sotto di quella legata alla generazione di elettricità. D’altronde, il ritiro di acqua per i data center è oggi negli USA meno di un decimo di quello dell’acqua potabile a livello municipale. Anche se le sfide principali, sotto questo profilo, sembrano venire soprattutto dall’Asia Pacifico dove per circostanze principalmente ambientali il raffreddamento è più water intensive.   

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L’IA ha molti casi d’uso positivi nell’energia a tecnologie esistenti

Il rapporto IEA dedica tutto un capitolo ai tanti casi d’uso dell’IA nell’energia che possono portare a sensibili riduzioni nei costi ma anche nella domanda. Nel caso di adozione allargata, si potrebbero ottenere risparmi nella sola generazione per 110 miliardi di dollari l’anno. Nella mobilità, si potrebbe arrivare a un risparmio fino al 20% nel consumo di energia. 

Tra le possibili applicazioni sulle quali si sofferma lo studio troviamo l’ottimizzazione dei processi, ottenuto grazie ai dati raccolti dai sensori, il controllo di qualità, la manutenzione produttiva, i digital twin e i robot.

Con importante mossa di realismo, sono tuttavia elencate anche le potenziali barriere all’adozione dell’IA in ambito energetico. La più importante tra queste è l’accesso ai dati e alle infrastrutture digitali. Laddove le competenze e la formazione sono invece quelle che sembrano maggiormente alla portata.

L’IA può accelerare l’innovazione con benefici sociali evidenti

A parte i possibili benefici rispetto alla riduzione dei consumi energetici e delle emissioni del restante 95% e oltre semplicemente diffondendo su larga scala le tecnologie esistenti, non possiamo trascurare i tanti altri possibili vantaggi derivanti dall’IA come acceleratore di innovazione. Pensiamo alla medicina e alle milioni di possibili vite salvate grazie alla scoperta di nuove molecole o a migliori (e possibilmente meno costose a parità di efficacia) tecniche di cura.

Lo stesso potrebbe accadere con l’energia, ad esempio con la scoperta di nuovi materiali, oppure con un’innovazione che consenta una riduzione più marcata dei consumi. Naturalmente, anche in questo caso ci sono molte sfide da affrontare e alcune incognite, la principale delle quali associata alla possibilità di un effetto rimbalzo che renda parzialmente vani i risparmi ottenuti dall’ottimizzazione dei consumi.          

Dunque, bene monitorare i consumi di energia e le emissioni associate all’IA e mettere in atto i provvedimenti necessari per rafforzare gli impatti positivi e scoraggiare quelli negativi, purché si mantenga una visione sufficientemente larga e laica dei fenomeni in atto. Lasciando gli allarmi ingiustificati a chi ne fa un mestiere.



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