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Riccardi: “Le imprese italiane hanno già scelto, fra Usa e Cina il futuro è a Pechino” – L’intervista


Il presidente della Camera di commercio italiana spiega quale sono le occasioni per il “Made in Italy” nella terra del Dragone e come saranno risolte le controversie geopolitiche: “La nostra diplomazia si è spesa moltissimo”

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C’è un numero che segnala Lorenzo Riccardi, presidente della Camera di commercio italiana a Pechino: 600 milioni di persone. Più della popolazione dell’intera Europa. Queste 600 milioni di persone fanno parte della classe media cinese, tutti potenzialmente pronti a indirizzare i propri consumi sui prodotti di pregio “Made in Europe” e, per quanto ci riguarda, anche “Made in Italy”.

 

Riccardi, nel contesto globale molto teso e soprattutto incerto per via delle politiche trumpiane, la Cina cosa rappresenta per le imprese italiane?

«Dal punto di vista macroeconomico, la Cina è la seconda economia mondiale, con una quota di circa il 18% del PIL globale e un target crescita del 5% per il 2025, secondo il rapporto del Premier Li Qian annunciato durante la sessione annuale del Congresso Nazionale del Popolo che si è tenuta all’inizio di marzo 2025. Nonostante il clima di incertezza, la Cina rappresenta un partner commerciale fondamentale per l’Italia e un mercato imprescindibile; è oggi il nostro primo partner per interscambio in tutta la regione dell’Asia Pacifico. La Cina è importante per le nostre imprese non solo per la dimensione del mercato interno — circa 600 milioni di consumatori appartenenti alla middle class — ma anche per il ruolo che gioca nelle catene globali del valore, soprattutto in settori come l’automotive, la meccanica strumentale, la farmaceutica e il lusso.
Per le aziende italiane, la sfida è cogliere l’evoluzione del modello economico cinese, sempre più orientato a consumi di qualità, innovazione tecnologica e sostenibilità. Opportunità che si mantengono solide nonostante il contesto geopolitico; in un sondaggio dalla camera di commercio italiana in Cina emerge che la maggioranza delle aziende italiane con investimenti nel Paese ritiene questo mercato una priorità nelle strategie di gruppo».

Nel 2024 l’export italiano verso la Cina ha perso il 20 per cento scendendo da 19,1 miliardi di euro a 15,3 miliardi: è stata la conseguenza dell’uscita, da parte italiana, dall’accordo per la nuova Via della Seta?

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«La riduzione dell’export italiano nel 2024 è un fenomeno che ha cause multifattoriali. Innanzitutto, la domanda interna cinese ha registrato una fase di rallentamento, con una crescita dei consumi inferiori alle aspettative. In secondo luogo, la competitività di prezzo di alcuni prodotti italiani ha subito la pressione della concorrenza internazionale e delle tensioni logistiche.Inoltre, va considerata la ridefinizione delle supply chain globali, con una tendenza crescente alla regionalizzazione degli scambi. Se analizziamo i dati delle dogane cinesi l’andamento delle importazioni in Cina di prodotti italiani, nonostante registri un delta negativo nel rapporto 2024-2023 (-3,2%), ha un andamento migliore della media europea (-4.4%) e dei singoli paesi, tra cui Francia (-5,9%) e Germania (-10,7%). L’uscita dal memorandum per la nuova Via della Seta sembra essere stata gestita dalla diplomazia nel migliore dei modi senza un impatto diretto nelle relazioni ecomiche; questo accordo è stato inoltre sostituito dal piano d’azione triennale che verte sulla collaborazione nei settori del commercio, sanità, sostenibilità, finanza, cultura e innovazione ed è parte del rinnovo del partnenariato strategico globale tra Italia e Cina».

 

Sempre nel 2024, l’import dalla Cina in Italia è cresciuto di 1,9 punti percentuali sfiorando i 50 miliardi. L’import è destinato a crescere oppure anche la Cina, che ha iniziato a produrre in Paesi terzi, mirerà a squilibri minori delle bilance commerciali?

«Il dato del 2024 conferma una crescita dell’import cinese, trainata in particolare da elettronica di consumo, componentistica industriale e prodotti chimici di base. Tuttavia, ci troviamo in una fase di transizione con il fenomeno della delocalizzazione selettiva verso Paesi del Sud-Est asiatico come Vietnam, Thailandia e Indonesia che influenza i rapporti economici internazionali.
La Cina rimane un hub industriale essenziale, secondo fornitore per l’Italia dopo la Germania e va considerato che circa il 28% della produzione manifatturiera mondiale è ancora concentrata nel Paese in base ai dati della Banca Mondiale. Sul medio termine, l’evoluzione dei flussi commerciali dipenderà da più fattori, tra cui dazi e andamento delle tensioni geopolitiche, dall’autonomia strategica europea, e dagli investimenti cinesi in supply chain più resilienti. La barriere commerciali e la trade war in atto tra Washington e Pechino promuovono una maggiore relazione economica tra Cina ed Europa e un possibile diretto impatto nell’aumento delle importazioni di prodotti cinesi nel mercato UE. È prevedibile che l’import continuerà a crescere ma in modo più selettivo e orientato verso prodotti ad alto valore aggiunto, in particolare nei settori green tech e mobilità elettrica».

 

A beneficio dell’Italia, quali settori commerciali/industriali potrebbero aumentare lo spazio nel mercato cinese?

«Analizzando i trend di consumo, le categorie dell’interscambio e le politiche di sviluppo economico cinesi, in particolare il 14° Piano Quinquennale, possiamo individuare tre macro-settori con forti potenzialità di crescita per l’Italia: Moda e abbigliamento: il mercato cinese del lusso ha superato i 60 miliardi di dollari nel 2024, con consumatori sempre più sofisticati e la presenza di brand italiani ben radicati è un vantaggio competitivo da consolidare. L’abbigliamento con 4 miliardi di euro nel 2024 vale il 26% delle esportazioni italiane in Cina. Meccanica e innovazione: la modernizzazione del tessuto industriale cinese apre opportunità concrete per forniture di macchinari specializzati, automazione e soluzioni per la transizione energetica. L’Italia ha esportato macchinari per 3.5 miliardi di euro nel 2024 per una quota pari al 23% dell’export.Agroalimentare: la Cina è già l’economia a maggior crescita per il settore dei beni agroalimentari e i prodotti italiani sono percepiti nella fascia alta del mercato. Nonostante una flessione del vino italiano nel 2024, le prospettive per il comparto nel 2025 sono positive Infine, non dimentichiamo le tecnologie green: dall’efficienza energetica alle energie rinnovabili, fino alla gestione dei rifiuti industriali, la domanda cinese è destinata a crescere anche per raggiungere gli obiettivi di neutralità carbonica al 2060».



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