Due persone morte, padre e figlio, travolte da un fiume di fango e detriti. È successo a Valdagno, in provincia di Vicenza, dopo l’ennesimo nubifragio che ha colpito il Nordest. Strade inghiottite, case allagate, famiglie evacuate. Scene già viste, già raccontate, già piante. Con una differenza: questa volta non si può più parlare di fatalità.
In un Paese dove più del 90% dei comuni è esposto a rischi idrogeologici, l’eccezionalità è diventata la norma. Il dissesto del territorio non è una sorpresa: è un lento logoramento, alimentato da decenni di disattenzione, cementificazione selvaggia e ritardi cronici. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – il PNRR – era stato salutato come l’occasione per cambiare rotta. Ma a oggi, il quadro che emerge è quello di una grande opportunità gestita con troppa lentezza.
Nel progetto originario, il PNRR destinava 2,49 miliardi di euro alla prevenzione del dissesto idrogeologico. Una cifra importante, certo, ma che nel 2023 è stata ridotta dopo una rimodulazione che ha spostato risorse verso altre priorità. I progetti già approvati sono andati avanti a rilento, e molti cantieri sono rimasti impantanati tra autorizzazioni, gare e carenza di personale tecnico nei Comuni.
Nel Veneto, una delle regioni più esposte, i fondi PNRR assegnati per la messa in sicurezza del territorio ammontano a 84,4 milioni di euro, distribuiti su 26 interventi. Eppure, dopo la tragedia di Valdagno, il governatore Luca Zaia ha rilanciato l’allarme: «Le risorse ci sono, ma servono più autonomia e procedure snelle. I progetti cantierabili devono partire subito, non tra tre anni».
Nel frattempo, la Regione ha attivato una struttura di coordinamento per velocizzare i lavori, affiancata da 5 milioni di fondi regionali destinati a interventi urgenti. Ma secondo gli esperti, siamo ancora lontani da un piano efficace e strutturale.
Anche in Lombardia, dove più di mille Comuni risultano a rischio frana o alluvione, la situazione è critica. Il fabbisogno stimato per proteggere davvero il territorio supera 1,4 miliardi di euro, mentre i finanziamenti attuali coprono solo una piccola parte di quell’importo. E l’Emilia-Romagna, ancora alle prese con le conseguenze della devastante alluvione del 2023, ha ricevuto dal PNRR circa 190 milioni di euro. Ma, come ha dichiarato il presidente Bonaccini, “ne servirebbero almeno dieci volte tanto”.
Eppure, il paradosso è evidente. L’Italia continua a spendere più per riparare che per prevenire: oltre 20 miliardi impiegati tra il 2013 e il 2022 per gestire l’emergenza, contro appena 2 miliardi per azioni preventive nello stesso periodo. È un meccanismo che, oltre a essere economicamente insostenibile, ha un costo umano altissimo.
Secondo Legambiente, più di 8 milioni di persone vivono o lavorano in aree ad alto rischio. Non solo borghi di montagna o frazioni isolate, ma anche città, zone industriali, scuole, ospedali. Interi pezzi del Paese, insomma, poggiano su un equilibrio instabile.
A mancare, più che le risorse, è una visione chiara e operativa. Il PNRR avrebbe dovuto portare riforme, competenze, una catena decisionale più snella. Invece, troppo spesso, ci si perde nei meandri delle conferenze di servizi, tra enti che non si parlano e gare d’appalto che si trascinano per mesi.
Intanto il clima cambia, i fenomeni estremi si intensificano, e ogni evento lascia dietro di sé nuovi danni e nuove richieste di ristori. Una spirale che logora il territorio, svuota i bilanci pubblici e fiacca la fiducia dei cittadini.
A Valdagno, intanto, si contano i danni. Ma soprattutto i rimpianti. Come dopo ogni frana, ogni esondazione, ogni alluvione. Perché se l’acqua che cade dal cielo non si può fermare, i ritardi e le mancanze che la trasformano in tragedia sì. Ma solo se si comincia a cambiare davvero, e non solo a promettere.
(Nella foto ANSA la veduta dall’alto del ponte crollato, dove hanno perso la vita padre e figlio)
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