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Logistica e industria: una sola filiera per la competitività del Paese. Parla Paolo Uggè, presidente Fai


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Paolo Uggè, presidente Fai Conftrasporto

«Puoi produrre il miglior bene del mondo, ma se resta fermo nel piazzale della tua fabbrica, a cosa serve? Senza camion, senza porti, senza intermodalità, anche l’industria più efficiente finisce per restare ferma ai cancelli della fabbrica». La provocazione di Paolo Uggé, presidente di Fai Conftrasporto, è solo apparentemente semplice. In realtà, coglie il cuore di un nodo strategico troppo spesso sottovalutato: senza trasporto, non c’è industria. E senza logistica, la produzione resta un esercizio fine a se stesso. Camion, porti, ferrovie, intermodalità: sono questi gli ingranaggi fondamentali che collegano l’impresa al mercato. E se uno di questi si inceppa, anche la manifattura più efficiente resta bloccata davanti ai cancelli della fabbrica. È da qui che parte Uggé per analizzare, con Industria Italiana, le criticità – e le opportunità mancate – del sistema logistico nazionale. In un Paese che ancora considera il trasporto come un servizio accessorio, e non come parte integrante della catena del valore, la voce degli autotrasportatori torna a farsi sentire con forza. Produrre non basta: serve un sistema di mobilità delle merci capace di sostenere e accompagnare l’industria nei mercati globali. «Produciamo per vendere, ma se non c’è un sistema logistico efficiente quei prodotti restano dove sono stati realizzati». Un concetto semplice, che però fatica ancora a entrare nella cultura economica e industriale italiana.

Eppure i numeri raccontano un settore tutt’altro che marginale: oltre 10 mila imprese, 110 mila mezzi pesanti in circolazione, un ruolo decisivo per garantire che il made in Italy – dalla manifattura al food – raggiunga i mercati. Solo il traffico merci che attraversa il Brennero rappresenta il 30% delle esportazioni italiane verso l’Europa. E il trasporto su gomma copre da solo circa il 50% dei volumi movimentati nel nostro Paese. Eppure, nonostante questi numeri, l’autotrasporto continua a essere trattato – da politica e parte dell’industria – come un mondo di serie B. «Un’appendice – la definisce Uggé – quando invece è parte integrante della filiera produttiva». Al centro della sua denuncia ci sono i temi che da anni rallentano la competitività del sistema italiano: un costo del gasolio che in Italia può arrivare a 1,9 euro al litro, contro una media europea di 1,3-1,4; un costo del lavoro che incide per il 28-29% sui bilanci delle imprese; e un sistema infrastrutturale ancora inadeguato, soprattutto per quanto riguarda i collegamenti ferroviari e l’attraversamento dell’arco alpino, ostacolato da vincoli e limitazioni imposti da Austria e Francia.

Ma non è solo un problema di costi e regole. È un problema di visione. «In Italia – spiega Uggé – manca ancora una vera cultura logistica. Si sta iniziando a parlare di logistica nei master universitari, ma è tardi. E troppo spesso ancora ci si dimentica che ogni prodotto, per arrivare sulla tavola o negli scaffali, deve passare attraverso una filiera logistica complessa, fatta di camion, navi, treni e infrastrutture». Un mondo che oggi si trova anche a fare i conti con le sfide – e le contraddizioni – della transizione ecologica europea, che secondo Uggé rischia di trasformarsi in un “grande inganno”, più ideologico che concreto. Una transizione che potrebbe penalizzare proprio quei settori che, come l’autotrasporto, non possono essere riconvertiti dall’oggi al domani senza mettere in ginocchio migliaia di imprese. Ed è anche per questo che, in vista della prossima assemblea nazionale della Fai – che si terrà a Bergamo – l’associazione ha deciso di mettere al centro della riflessione proprio il futuro del settore: infrastrutture, regole, rappresentanza, rapporto con la politica e con l’Europa. Perché il trasporto non è più soltanto un problema di camion in strada. È, sempre di più, una questione industriale.

D. Presidente Uggé, cosa ha da dire Conftrasporto al mondo dell’industria manifatturiera italiana?

R. Ancora oggi non si è compresa appieno l’interdipendenza tra industria e logistica. Chi produce ha bisogno di portare i propri prodotti sul mercato, e questo avviene attraverso un sistema logistico efficiente. L’economia è cambiata: siamo passati dalla logica degli stock al “just in time”, con consegne in tempo reale. Questo ha trasformato radicalmente il modo di produrre. Oggi si fabbrica solo ciò che serve, quando serve. In questo scenario, i trasporti – via mare, ferrovia o gomma – diventano essenziali per garantire la competitività.

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Aumento dell’export, crescita del traffico su tutte le modalità. Porti, aeroporti e valichi alpini sono infrastrutture strategiche per l’economia nazionale. Fonte Osservatorio Freight Insights, pubblicata in occasione del Forum Conftrasporto tenutosi il 13-14 novembre 2024.

D. Secondo lei, quindi, il sistema logistico non è stato valorizzato a sufficienza?

R. Assolutamente sì. La politica italiana ha commesso un grave errore: non ha riconosciuto il ruolo strategico della logistica come funzione complementare alla produzione industriale. Non è stata data la giusta rilevanza al tema, e oggi ne paghiamo le conseguenze.

D. Oggi siamo nell’era della personalizzazione di massa e delle supply chain riconfigurabili. Questo non rende tutto ancora più complesso?

R. Certo. Ogni cliente vuole una variante del proprio prodotto, e la vuole subito. Ma c’è di più. Le attuali incertezze geopolitiche impongono catene logistiche capaci di riconfigurarsi rapidamente. Oggi puoi decidere, da un giorno all’altro, di non acquistare più da un fornitore dell’Europa dell’Est ma da uno in Africa. Tutto questo aumenta l’importanza del sistema infrastrutturale del Paese.

D. Cosa chiedete, concretamente, al governo per sostenere il settore?

R. Il primo tema è il costo delle imprese, a partire dal gasolio. In Italia siamo a 1,8-1,9 euro al litro, mentre in altri Paesi europei si viaggia su una media di 1,3-1,4 euro. Considerando che il carburante pesa per circa il 30% sui costi complessivi, è evidente che questo rappresenta un handicap competitivo enorme per i vettori italiani. Anche il costo del lavoro, che in Italia è tra i più elevati d’Europa, incide fortemente sulla competitività delle nostre imprese e rende ancora più difficile confrontarsi alla pari con i competitor stranieri che operano nel nostro stesso mercato, ma con costi molto inferiori. A questi si aggiungono i pedaggi autostradali. Su questi tre fronti, grazie a un dialogo continuo con il governo, abbiamo ottenuto alcuni interventi concreti.

Congestione stradale oltre il 30% della rete. Saturazione ferroviaria. Allocazione portuale inefficiente. Urgente ottimizzazione sistemica delle supply chain. Fonte Osservatorio Freight Insights, pubblicata in occasione del Forum Conftrasporto tenutosi il 13-14 novembre 2024.

D. Quali?

R. Sul gasolio, c’è una compensazione di 21 centesimi al litro. Sul lavoro, ci sono stati interventi di fiscalizzazione degli oneri sociali e misure che hanno reso più elastiche alcune regole contrattuali, permettendo un po’ più di flessibilità negli accordi tra imprenditori e lavoratori. Infine, sui pedaggi autostradali, è stato introdotto un meccanismo di riduzione compensata: più il mezzo è moderno e meno paga.

D. Un incentivo, quindi, anche per rinnovare i mezzi circolanti?

R. Esattamente. Un veicolo di ultima generazione ha caratteristiche di sicurezza avanzate: frenata assistita, controllo dello sbandamento, rispetto della corsia. In Italia, invece, circolano ancora camion con 30, 40, perfino 50 anni di vita. Sono mezzi inquinanti, non sicuri e privi delle tecnologie moderne.

D. Eppure lo Stato continua a sostenere anche chi utilizza questi mezzi obsoleti…

R. Questo è un paradosso che io considero una vergogna. Lo Stato italiano spende 517 milioni di euro per rimborsare, con la formula delle “spese non documentate”, i piccoli padroncini che girano con mezzi vecchissimi. Sono 40 euro al giorno per ogni viaggio, soldi che vanno in detrazione fiscale e che di fatto permettono a queste imprese di non pagare tasse. È assurdo, soprattutto in un momento in cui il Pnrr prevede la rimozione dei sussidi ambientalmente dannosi.

Le interruzioni nella logistica sono causate da cantieri, carenza di personale e instabilità geopolitica. Serve una nuova logica di investimento orientata alla resilienza. Fonte Osservatorio Freight Insights, pubblicata in occasione del Forum Conftrasporto tenutosi il 13-14 novembre 2024.

D. Quali sono oggi i principali nodi del settore autotrasporto in Italia?

R. Il primo problema è quello della dimensione aziendale. Nonostante qualche progresso, circa il 50% delle imprese che operano nel settore sono di piccolissima o piccola dimensione. Al contrario, le grandi aziende di autotrasporto coprono da sole il 50% dei volumi movimentati nel Paese. È chiaro quindi che favorire la crescita dimensionale è fondamentale.

D. E come si può favorire questo salto dimensionale?

R. Non ci si può affidare al caso. Occorre creare condizioni favorevoli. Già anni fa avevamo avviato un percorso in questa direzione, incentivando le imprese a unirsi e a lavorare insieme. L’obiettivo era offrire vantaggi economici e fiscali, così da indurre una trasformazione strutturale del settore.

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D. E veniamo al Ponte sullo Stretto di Messina. È davvero strategico?

R. Non c’è dubbio. L’idea nasce in Europa, non in Italia. È parte dei dieci corridoi europei individuati dal commissario Van Miert già negli anni ’90. Uno di questi corridoi, quello rosso, oggi collega Helsinki a Palermo. Il collegamento stabile tra Sicilia e Calabria rappresenta un’infrastruttura essenziale per completare questa rete. Ma è mancata la volontà politica: abbiamo abbandonato per undici anni ogni progetto di infrastrutturazione coerente con questa visione strategica. Oggi ne paghiamo il prezzo.

Dal 2020 ad oggi, le supply chain hanno alternato fasi di stabilizzazione e crisi. Eventi globali come la crisi del Mar Rosso, l’inflazione e i conflitti hanno creato forti pressioni. Fonte Osservatorio Freight Insights, pubblicata in occasione del Forum Conftrasporto tenutosi il 13-14 novembre 2024.

D. C’è anche un tema di finanziamenti europei, corretto?

R. Sì. Il 50% dei costi è cofinanziato dall’Unione Europea. Non è solo un onere per lo Stato italiano. Inoltre la realizzazione del ponte implica anche il potenziamento delle infrastrutture di Sicilia e Calabria, territori oggi carenti in collegamenti stradali e ferroviari.

D. Quali altre opere considerate prioritarie, oltre al Ponte sullo Stretto?

R. La permeabilità dell’arco alpino è fondamentale. E serve potenziare i porti – sia sul Tirreno che sull’Adriatico – per renderli davvero recettivi. Genova, Savona, Trieste, Venezia: devono essere in grado di gestire il traffico in entrata e in uscita, senza colli di bottiglia.

D. E per il Mezzogiorno?

R. Servono investimenti nei porti del Sud: Napoli, Salerno, Taranto. Quest’ultimo avrebbe potuto diventare un hub centrale per le merci in arrivo via Suez. Ma una visione ambientalista sbagliata ha bloccato i lavori di dragaggio necessari per accogliere le grandi navi. Risultato: Evergreen ha spostato la sua sede dal porto di Taranto al Pireo.

Le imprese rivedono le proprie strategie logistiche spinte da digitalizzazione (62%), transizione energetica, incertezza e inflazione. Fonte Osservatorio Freight Insights, pubblicata in occasione del Forum Conftrasporto tenutosi il 13-14 novembre 2024.

D. Un’occasione persa.

R. Esattamente. Quella linea, quella logica logistica, ha poi ispirato l’idea della “Nuova Via della Seta”. Ma mentre noi bloccavamo i lavori, la Cina si muoveva attraverso i Balcani, rafforzando il porto del Pireo e aprendo un’alternativa – più lunga – ma più praticabile per loro.

D. In che modo l’arco alpino penalizza il nostro sistema produttivo?

R. I governi degli Stati a nord delle Alpi si sono dotati della Convenzione delle Alpi, composta da 12 protocolli, uno dei quali riguarda i trasporti. A decidere sulle connessioni transalpine è un organismo composto da cinque membri: quattro di questi rappresentano Stati sopra le Alpi, solo uno è italiano. Le decisioni si prendono con maggioranza dei tre quarti. Tradotto: qualsiasi proposta dell’Italia non ha possibilità di essere approvata. Questo limita fortemente l’accesso delle merci italiane al cuore dell’Europa.

D. La Salerno-Reggio Calabria è ancora oggi considerata un simbolo delle incompiute italiane.

R. Anche se molti interventi sono stati ultimati, restano problemi infrastrutturali evidenti. E l’industria dovrebbe essere la prima a sostenere opere di questo tipo: la competitività dei nostri prodotti dipende anche dalla rete logistica.

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Per il 65% delle aziende la logistica è un’attività strategica con forte impatto sulle performance. Il settore vale quasi il 9% del PIL. Fonte Osservatorio Freight Insights, pubblicata in occasione del Forum Conftrasporto tenutosi il 13-14 novembre 2024.

D. Confindustria oggi è abbastanza attiva su questi temi?

R. Negli ultimi anni ha ripreso a parlarne. Ma per un decennio ha preferito delocalizzare: molti stabilimenti sono stati spostati nei Paesi balcanici, dove il costo del lavoro era molto più basso. Inoltre, per chi esportava verso l’Europa, trovarsi già “dall’altra parte” era logisticamente più vantaggioso.

D. Un caso emblematico è quello del Brennero.

R. Il 30% delle merci italiane destinate all’Europa continentale passa di lì. Eppure, su questo tema, la voce di Confindustria si è sentita poco. Solo recentemente, con l’attuale dirigenza, è emersa una posizione netta: l’Austria sta violando il trattato europeo sulla libera circolazione delle merci e delle persone. La Commissione europea ha già affiancato l’Italia in questa battaglia. Il nostro governo ha risposto alle ultime osservazioni a fine marzo, ora si attende il pronunciamento della Corte di giustizia europea. Ci aspettiamo che l’atteggiamento dell’Austria venga dichiarato incompatibile con i principi dell’Unione.

D. I dazi introdotti da Trump e, più in generale, i cambiamenti negli scambi internazionali, come impattano sul vostro mondo?

Donald Trump e i nuovi dazi. (Immagine generata con flux-1.1-pro-ultra). Per l’autotrasporto nazionale non dovrebbero esserci effetti diretti sui nuovi dazi. Le merci devono comunque arrivare nei punti vendita, dove la gente si approvvigiona.

R. Per l’autotrasporto nazionale non dovrebbero esserci effetti diretti. Le merci devono comunque arrivare nei punti vendita, dove la gente si approvvigiona. Certo, potrebbe esserci una riduzione delle quantità trasportate, ma l’impatto maggiore sarà sul trasporto marittimo. Se l’asse centrale degli scambi tornerà a essere il Pacifico, a discapito dell’Atlantico, allora molti flussi, come quelli delle autovetture, subiranno una trasformazione. Il rischio è che molte aziende debbano rivedere le proprie strategie logistiche.

D. Come giudica le politiche europee sul clima, il Green Deal e la transizione ecologica?

R. La presidente Meloni l’ha chiamata “transizione ideologica”, e ha ragione. È un impianto teorico che non ha riscontro nella realtà. Cominciamo da un dato oggettivo: l’Europa contribuisce per l’8% all’inquinamento globale. Dentro quell’8%, il trasporto pesa tra il 3 e il 5%. Quindi, se facciamo i conti, l’autotrasporto incide per meno dello 0,5% a livello mondiale. Di cosa stiamo parlando?

D. Quindi gli interventi ambientali dell’Europa sarebbero inefficaci?

R. Se non sono globali, non hanno senso. L’India e la Cina non possono adottare le stesse misure europee: significherebbe mettere alla fame milioni di persone. Intanto, in Europa, assistiamo alla deindustrializzazione. I disastri economici di questa strategia li vediamo in Germania, in Francia, e anche in Italia – seppur in misura minore.

D. Esistono inchieste su questo?

R. C’è un’inchiesta molto seria sulle storture delle politiche verdi europee, ma in Italia se ne è parlato poco. È un grande inganno. E il Green Deal, così com’è stato portato avanti, rischia di produrre solo polarizzazione.

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D. Avete avuto un confronto con il ministro Fitto su questo tema?

Raffaele Fitto, Vicepresidente esecutivo della Commissione europea. Immagine tratta dal profilo Instagram di Raffaele Fitto.

R. Sì, e il ministro ha riconosciuto che è in atto un’inversione di tendenza, anche se non ancora evidente. La precedente commissaria UE ha spinto fortemente questa agenda, con l’appoggio della stessa presidente della Commissione. Ora qualcosa comincia a cambiare, e noi cerchiamo di fare la nostra parte per sensibilizzare imprese e istituzioni.

D. A breve, a Bergamo, si terrà l’assemblea nazionale di Fai. Che tipo di appuntamento sarà?

R. È un momento importante: si tiene ogni cinque anni ed è legata al rinnovo delle cariche del nostro Consiglio nazionale e della Presidenza. Partecipano le nostre associazioni territoriali, che oggi sono una trentina. Abbiamo deciso di affiancare all’appuntamento elettivo una riflessione di sistema. Lo faremo attraverso una ricerca condotta dalla nostra fondazione, presieduta dal professor Ferruccio Resta, ex rettore del Politecnico di Milano. L’obiettivo è analizzare le percezioni e le esigenze degli imprenditori del trasporto, per capire come l’associazione debba evolversi: cosa deve cambiare nel modo di rappresentare, come comunicare con la politica, quali iniziative europee portare avanti.

D. C’è qualcosa che secondo lei merita di essere sottolineato in modo particolare quando si parla di autotrasporto?

R. Sì, c’è un tema culturale enorme: in Italia manca la consapevolezza del ruolo che il trasporto e la logistica hanno per la competitività del Paese. È un limite che riguarda soprattutto la politica, ma anche una parte del mondo imprenditoriale. Serve una politica infrastrutturale seria, che metta in connessione le grandi modalità di trasporto: mare, ferrovia e gomma. Solo così possiamo garantire efficienza. Il problema è che per troppo tempo il trasporto è stato visto come qualcosa di marginale, un’appendice, mentre invece è un pezzo fondamentale del sistema produttivo.

Dati economici del settore dell’autotrasporto in Italia

Un settore strategico per il PIL

Il comparto del trasporto e della logistica vale circa il 9% del PIL italiano, confermandosi un pilastro portante dell’economia nazionale. Un dato che evidenzia come l’efficienza della filiera logistica sia indissolubilmente legata alla competitività del sistema produttivo.

Un milione di addetti in prima linea

Il settore impiega oltre 1 milione di lavoratori, tra conducenti, operatori logistici e addetti alla filiera. Si tratta di una delle componenti occupazionali più estese e diffuse sul territorio, con un peso determinante per il mercato del lavoro nazionale.

Gasolio: un divario competitivo con l’Europa

In Italia, il prezzo del gasolio per autotrazione oscilla tra 1,8 e 1,9 euro al litro, contro una media europea compresa tra 1,3 e 1,4 euro. Questa differenza incide direttamente sui costi operativi delle imprese, soprattutto per chi lavora su scala nazionale o internazionale.

Le aziende puntano su logistica smart (30%), sostenibile (20%), omnicanale (21%) e circolare (20%). In aumento anche la logistica industriale. Fonte Osservatorio Freight Insights, pubblicata in occasione del Forum Conftrasporto tenutosi il 13-14 novembre 2024.

Il costo del lavoro tra i più alti in Europa

Il costo del lavoro rappresenta una voce particolarmente pesante nei bilanci delle aziende di autotrasporto: si attesta intorno al 28-29% del totale. Anche in questo caso, l’Italia registra valori tra i più elevati dell’Unione Europea, aggravando il gap competitivo.

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Pedaggi autostradali: premiata l’efficienza

I pedaggi autostradali costituiscono una voce di spesa non trascurabile. Per attenuare l’impatto economico, è stato introdotto un sistema di riduzione compensata: più il mezzo è moderno e meno paga. Un incentivo mirato al rinnovo del parco circolante.

517 milioni di euro per mezzi obsoleti

Lo Stato italiano spende 517 milioni di euro all’anno in rimborsi per spese non documentate, destinati ai piccoli padroncini con mezzi obsoleti. Un paradosso, soprattutto in un momento in cui l’Europa chiede il superamento dei sussidi ambientalmente dannosi.

Un parco circolante invecchiato e insicuro

Il parco mezzi italiano soffre di un’obsolescenza preoccupante: molti camion hanno 30, 40 o perfino 50 anni. Questi veicoli sono meno sicuri, più inquinanti e privi delle tecnologie necessarie a garantire prestazioni adeguate e sostenibilità ambientale.

Il parco mezzi italiano soffre di un’obsolescenza preoccupante: molti camion hanno 30, 40 o perfino 50 anni. Questi veicoli sono meno sicuri, più inquinanti e privi delle tecnologie necessarie a garantire prestazioni adeguate e sostenibilità ambientale.

Fai Conftrasporto in breve

Fondata nel 1963, la Fai – Federazione Autotrasportatori Italiani è oggi la principale organizzazione di rappresentanza del trasporto merci su strada in Italia. Riunisce circa 10 mila imprese associate, per un totale di oltre 110 mila mezzi pesanti in circolazione, ed è presente sul territorio nazionale con una rete di 30 associazioni territoriali autonome, localizzate nelle province dove il comparto dell’autotrasporto è più radicato. La Fai svolge un ruolo centrale nel dialogo con le istituzioni, nei tavoli di confronto ministeriali e nella contrattazione collettiva nazionale di lavoro per gli autotrasportatori: coniuga la rappresentanza degli interessi imprenditoriali con la tutela delle regole e della sostenibilità del settore. Offre inoltre servizi di consulenza e supporto alle imprese, dalla gestione fiscale e contabile all’analisi dei costi, fino alla formazione e aggiornamento professionale. Oltre all’attività di rappresentanza, la Federazione ha dato vita a Fai Service, la più grande società cooperativa di servizi per l’autotrasporto in Europa, controllata direttamente dagli stessi autotrasportatori. Un modello che integra tutela sindacale e strumenti operativi, con l’obiettivo di accompagnare le imprese italiane di autotrasporto in un mercato sempre più complesso, competitivo e globale.



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