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Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

IBR | Bernoni Grant Thornton


Già prima del ciclone dazi, la fiducia delle piccole e medie imprese italiane era in forte diminuzione. Più del resto d’Europa. Con previsioni cupe su fatturato, esportazioni e investimenti. Con un sostanziale stand-by di investimenti e iniziative, spia di una condizione di «vulnerabilità di sistema» e di quell’incertezza propria di chi «si sente non protetto dal contesto. E se la ricerca fosse stata effettuata in questi ultimi giorni, il report sarebbe stato ancora molto più negativo», ammette Sante Maiolica, CEO della divisione Financial Advisory Services di Grant Thornton Italia, network di consulenza internazionale che ha realizzato l’ultimo International business report nel primo trimestre 2025, coinvolgendo 2.500 dirigenti di aziende di medie dimensioni a livello globale.

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Questi, si sa, non sono certo tempi di ottimismo, calato di tre punti a livello globale, ma è l’Italia a registrare il crollo più significativo: -7% (dal 65 al 58%). Pesano innanzitutto l’alto costo dell’energia (63%), un macigno sulla competitività delle nostre aziende; pesano i riflessi delle molteplici tensioni geopolitiche in atto (56%), per la difficoltà di approvvigionamento di materie prime o per gli effetti sulle esportazioni; e pesa un’atavica criticità nostrana come la burocrazia (55%), benché ci siano stati miglioramenti sulla spinta degli investimenti Pnrr.

«Il food and beverage, la meccanica di precisione, l’automotive e il tessile sono i settori col maggiore calo di fiducia, al contrario – elenca Maiolica – del mondo dei servizi, della trasformazione digitale e della sostenibilità» che continuano a vedere il futuro con maggiore positività.

Racconta di un Paese più vulnerabile di altri e più preoccupato di altri il rapporto Grant Thornton, i cui indicatori hanno stime spesso più negative per l’Italia: se il numero degli imprenditori, ad esempio, che confida in una crescita della redditività è in calo ovunque del 1%, da noi quella stima diventa del 7%, ben cinque punti in più del resto d’Europa; come maggiori rispetto al resto del continente sono le aspettative di riduzione del fatturato (4% in Italia, la metà nel resto d’Europa).

Così i dazi di Trump, annunciati e poi sospesi, si sono abbattuti come un tornado sulle «Pmi italiane che, soprattutto in alcuni settori, stanno già soffrendo in modo particolare: le aziende che operano nei distretti tessili, ad esempio, da quando c’è la guerra in Ucraina e l’embargo per la Russia non vedono la luce in fondo al tunnel».

E lo stesso vale anche per i conflitti in tutta l’area del Medioriente o le dispute su Taiwan o per mercati, in alcune zone dell’Africa, percepiti come insicuri. Tutti fattori che si ripercuotono sulle prospettive delle nostre imprese, «che ora le politiche commerciali americane stanno buttando in alcuni casi fuori mercato. Ci sono aziende, infatti, che vivono per il 70% di esportazioni».

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L’incertezza di questi tempi finisce così per evidenziare ancora di più le debolezze preesistenti, «la vulnerabilità di sistema, la dipendenza dai mercati esteri e il nanismo in alcuni casi», snocciola il CEO di GTFAS.

Nel rapporto non c’è alcun riferimento alle politiche economiche o alle scelte governative o al continuo calo della produzione industriale, ma «se si guardano i valori in prospettiva – le previsioni di riduzione del fatturato o delle esportazioni, il calo degli investimenti nell’innovazione tecnologica e nel brand – indirettamente sono portato a pensare che se qualcuno non ha una certezza di visione, non si sente protetto dal contesto».

Tradotto, gli imprenditori consultati per la ricerca non si sentono sufficientemente tutelati in questo mare in tempesta. Eppure, tra tanti dati negativi, c’è un aspetto in controtendenza da sottolineare, che «rappresenta un vantaggio competitivo che non siamo abituati ad avere, ossia l’accesso ai finanziamenti».

Se un po’ ovunque ad aumentare è infatti la preoccupazione (+3% sia a livello globale che europeo) per l’accesso al credito, l’Italia va invece nella direzione opposta. «Non è affatto banale – riflette Maiolica. Ci sono banche che si stanno abituando ad erogare prestiti alle imprese, con tassi più bassi e con sistemi innovativi, un booster importante per le nostre imprese che realizzano significative operazioni di internazionalizzazione, per la prima volta predatori e non prede».

Prima del covid, era una rarità vedere Pmi acquisire aziende straniere; stiamo registrando invece quanto stiano cercando di internazionalizzarsi. Una buona notizia che per gli imprenditori di piccole e medie dimensioni può essere un’àncora anche nelle tempeste trumpiane.

«Si accentua l’esigenza di mettere la testa fuori dai confini», conclude Maiolica, secondo cui «avere sedi laddove vengono imposti i dazi è l’unico sistema sano per bypassare questi ostacoli». Ma questa è una strada non sempre percorribile e non senza rovesci della medaglia.

Il sole 24 Ore



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