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Meloni ha fatto una promessa avventata a Trump: togliere la web tax


Lo stop alla tassazione aggiuntiva per le big tech, messo nero su bianco nella dichiarazione Italia-Usa dopo la visita di Giorgia Meloni a Washington? Per Forza Italia non è una buona idea. “Semmai paghino di più”, è, in estrema sintesi, il pensiero dei forzisti, da sempre sostenitori del fatto che il trattamento di favore ai colossi del web danneggia le aziende piccole e medie italiane ed europee. Una presa di posizione, questa, che già mette in bilico, per mano dello stesso centrodestra, una delle (tante) concessioni fatte da Meloni a Trump. 

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Per capire di cosa stiamo parlando dobbiamo riprendere il passaggio del documento congiunto vergato dopo l’incontro tra Meloni e Trump: “Sottolineiamo l’importanza delle tecnologie dell’informazione per favorire la libera impresa oltre Atlantico. Abbiamo concordato sulla necessità di un ambiente non discriminatorio in termini di tassazione dei servizi digitali per favorire gli investimenti da parte di aziende tecnologiche all’avanguardia”, scrivono i due leader. Tradotto: pietra tombale sulla web tax. In Italia, dove è comunque molto bassa, visto che l’aliquota stabilita nell’ultima finanziaria è del 3%. E possibilmente, per intercessione della premier, anche in Europa. Le istituzioni Ue, infatti, sta lavorando a una proposta di web tax europea, che faccia sintesi tra le varie sensibilità. Il freno dell’Italia sarebbe un bel goal per Trump.

Tutto ciò non entusiasma affatto Maurizio Gasparri. Raggiunto da HuffPost, il capogruppo di Forza Italia al Senato argomenta così: “Gli Stati Uniti chiedono che non ci siano discriminazioni. Basta guardare quanto pagano i giornali e le aziende audiovisive che raccolgono la pubblicità e quanto pagano questi colossi del web. La discriminazione ci sarebbe se questi ultimi pagassero di più, ma siccome pagano largamente di meno, il tema è far pagare a tutti il giusto”. Insomma, altro che aziende vessate dal fisco: le big tech sono trattate meglio di aziende che fatturano di meno. Secondo il senatore, dunque, “Se si devono impedire le discriminazioni non c’è alcun problema: tra chi paga 1, i colossi del web, e chi paga tanto, lo spazio per un recupero fiscale a carico dei colossi del web c’è”. Insomma, conclude Gasparri, “la discriminazione c’è, ma è a danno delle aziende europee che operano in campi analoghi. Basta guardare le cifre e spiegarle. Lo faremo, e con dati inoppugnabili”. 

Non è la prima volta che Forza Italia pone distinguo sulla web tax. Una discussione molto accessa c’era stata durante i lavori parlamentari sull’ultima manovra finanziaria, approvata a fine 2024. Nella prima versione della legge di bilancio – quella approvata in Consiglio dei ministri – la tassa in questione era stata prevista per tutte le aziende che operano sul web. Stessa aliquota, nessuna differenza, nonostante molto differenti fossero gli introiti. Una soluzione che non piaceva alle aziende italiane. E, dunque, non piaceva per niente a Forza Italia. All’epoca Gasparri era stato il primo a chiedere di cambiare tutto. Di esentare dalla web tax le aziende piccole – come poi è accaduto – e di lasciare la tassa a carico dei colossi del web, definiti “banditi fiscali”. L’assunto da cui partiva la battaglia forzista era che non si potesse paragonare Netflix a una piccola televisione locale, o Google a un sito d’informazione locale. C’era voluto anche l’intervento del vicepremier Antonio Tajani per assestare ulteriormente il tiro. Alla fine il resto della maggioranza aveva acconsentito al pressing di Forza Italia. E la web tax era rimasta in pista solo per le aziende dal fatturato stellare, di almeno 750 milioni di euro. Tendenzialmente, quelle americane. Tutte le altre imprese erano state escluse. 

Il capitolo sembrava chiuso, ma l’incontro Meloni-Trump ha rimescolato le carte. E non si può escludere che le discussioni sul tema continueranno anche quanto Trump, tra maggio e giugno, volerà a Roma. L’idea di un regalino ai big della Silicon Valley da parte della premier italiana si staglia all’orizzonte. Ma la trasformazione in legge sarà tutt’altro che automatica. Meloni infatti, se davvero vorrà accontentare l’alleato, avrà molti scogli da superare. E quello di Forza Italia è il più grande, perché si trova nel perimetro della sua stessa maggioranza. Non dovrebbe alzare troppe barricate, invece, la Lega, visto che il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, appena pochi giorni fa si è detto disponibile a rivedere la tassa.

Protesta l’opposizione. “Trump ottiene quello che vuole da Meloni: isolare la Cina, acquistare più gas statunitense e impedire l’introduzione in Ue della web tax per le Big Tech Usa, esattamente quello su cui sta lavorando la Commissione per le questioni fiscali del Parlamento europeo, che presiedo. Meloni tradisce gli interessi nazionali e europei”, dice Pasquale Tridico, europarlamentare del Movimento 5 stelle. Per Nicola Fratoianni, leader di Sinistra italiana: “Meloni si impegna a non discriminare fiscalmente le grandi multinazionali del web. Eppure a guardare bene queste grandi multinazionali non sono mai state discriminate, tutt’altro”. 

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