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Un Documento di finanza pubblica carente e incerto, Giorgetti non convince sul Pil


Uno strumento di programmazione per il prossimo triennio senza una visione programmatica: è probabilmente quella della magistratura contabile l’istantanea più nitida del Documento di finanza pubblica sul quale stamattina sono cominciate le audizioni con gli interventi, nelle commissioni Bilancio di Camera e Senato, della Corte dei Conti, l’Istituto di statistica nazionale, la Banca d’Italia, il Cnel, e l’Ufficio parlamentare di bilancio. Concordi nell’evidenziare come in quadro di instabilità e volatilità internazionale giochino anche altri fattori oltre all’escalation di una guerra commerciale che sta sconvolgendo gli equilibri geo-economici globali con impatti su imprese, consumatori, famiglie e interi sistemi produttivi.

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Uno scenario delineato davanti alle commissioni e a cui fa da contraltare il mutismo dell’esecutivo e delle forze di maggioranza. A parte il balbettio del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che ha provato a difendere in audizione le scelte del governo dicendo che le «revisioni al ribasso sono solo un segnale della serietà del governo rispetto a elementi esogeni».

Una «fantastica novità», commenta su X Maria Cecilia Guerra, responsabile Lavoro nella segreteria Pd: «Nessun parlamentare della maggioranza, dei pochissimi presenti, quasi solo a distanza dice una sola parola, pone una sola domanda. Neppure per l’audizione del ministro Giorgetti. Niente sui dazi, niente sul Pnrr, niente sulla difesa, niente su fisco e oensioni. Non si era mai vista una maggioranza così…silenziosa».

Senza indicazioni

Nel Dfp manca non solo lo sviluppo programmatico, ma anche indicazioni adeguate su diversi capitoli della politica finanziaria di breve e medio periodo, e cioè sulla composizione della spesa per settori, sulle modifiche su cui si sta lavorando per il ridisegno del Pnrr, sulle scelte che ci si propone di assumere sul fronte della spesa per il settore della difesa: «Elementi che rendono difficile valutare la tenuta del quadro complessivo e la sua coerenza con quelle che sono le priorità dell’azione di governo», afferma la Corte dei Conti nella relazione sul Dfp presentata in audizione.

Sollecitando a non abbandonare o ridurre l’obiettivo del Pnrr, la Magistratura contabile cita «gli interventi per la sanità, ma anche quelli per rimuovere vincoli storici allo sviluppo in termini infrastrutturali, della rete dei trasporti, della digitalizzazione e interconnessione, dell’ammodernamento della Pa e, non ultimo, per rafforzare le capacità di ricerca e innovazione del nostro tessuto economico, di cui spesso si sottolinea l’importanza a fronte delle crisi, ma di cui è urgente avviare la modifica».

Gli effetti dei dazi peseranno sull’economia europea e su quella italiana: «La qualità elevata dei beni che vendiamo negli Stati Uniti e gli ampi margini di profitto di alcune imprese potranno attenuarne temporaneamente l’impatto, ma un contraccolpo sarà inevitabile se vi sarà un forte rallentamento del commercio mondiale»: il vicecapo del Dipartimento Economia e Statistica della Banca d’Italia, Andrea Brandolini, in audizione è tranchant e non lascia spazi a dubbi, soprattutto per l’Italia. E aggiunge che sarebbe utile disporre, nel Dpf, dell’andamento previsto del debito nel medio-lungo periodo in funzione di diversi scenari macroeconomici.

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L’Ufficio parlamentare di bilancio nel sottolineare un impatto dei dazi su tutti i settori, sostiene che a risentirne maggiormente sarebbero quello farmaceutico, le attività estrattive, automotive, prodotti chimici, le attività metallurgiche e la fabbricazione di macchinari. Cioè quei settori tutti mediamente più esposti verso gli Stati Uniti come mercato di sbocco o con dazi più elevati. «La farmaceutica è il settore che, in proporzione, ha il fatturato maggiore delle esportazioni dell’Italia verso gli Stati Uniti, ed è per questo che, nella nostra analisi, sarebbe il comparto che risentirebbe di più» dei dazi americani, spiega la presidente dell’Upb Lilia Cavallari.

«I dazi Usa impatteranno, tenendo conto anche degli effetti indotti su quasi tutti i settori dell’economia italiana, con una perdita a livello aggregato di valore aggiunto nell’ordine di tre decimi di punto percentuale», e un impatto di circa 68 mila occupati in meno.

Le previsioni

Le previsioni sul Pil del Documento di finanza pubblica 2025 pari a 0,6 per cento per il 2025 e 0,8 per cento per i due anni successivi sono in linea con quelle dell’Upb per l’anno in corso, ma per il triennio successivo le attese dell’Ufficio parlamentare di bilancio sono più caute: «La crescita cumulata del Pil 2025-2028 raggiunge 3,0 punti percentuali nello scenario del ministero dell’Economia e delle Finanze, mentre per l’Upb sarebbe più contenuta, al 2,7 punti percentuali», spiega la presidente dell’Upb Lilia Cavallari. Aggiungendo che l’economia italiana nel 2024 «ha registrato una crescita moderata (0,7 per cento) e inferiore a quella dell’area dell’euro per la prima volta dal 2021.

I rischi «sono orientati al ribasso e sono prevalentemente riconducibili a fattori geopolitici, il protezionismo e i conflitti, oltre che alla gestione dei rilevanti progetti di investimento; in particolare, sul Pnrr data l’elevata concentrazione di interventi nel 2026 non si può escludere che una parte delle opere possa essere differita».

Infine, l’Upb sottolinea poi come un aumento delle spese per la difesa, per le quali in audizione il ministro dell’economia Giorgetti ha detto che già quest’anno l’Italia spenderà il 2 percento del Pil, secondo le simulazioni di Upb, causerebbero un aumento del debito di 0,7 punti percentuali fino al 137,3 percento nel 2028; con un aumento graduale della spesa fino alla massima flessibilità consentita, pari a 1,5% nel 2028, il debito salirebbe a 137,7 percento con un peggioramento della dinamica negli anni successivi e debito/Pil in salita dopo il 2031.

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