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l’Italia alla ricerca del suo futuro economico – StartUp Magazine


Negli ultimi anni, il venture capital italiano ha mostrato segnali incoraggianti di crescita, ma resta ancora distante dai livelli raggiunti dai principali Paesi europei. Tra il 2017 e il 2024, il settore ha registrato un balzo significativo, con investimenti passati da poco più di 150 milioni a 1,9 miliardi di euro. Eppure, il confronto con Francia e Regno Unito rivela un ecosistema ancora acerbo: se una volta investivamo dieci volte meno dei francesi e ben trentadue volte meno degli inglesi, oggi i gap si sono ridotti, ma restano marcati (rispettivamente 4 e 11 volte).

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In questo scenario, il venture capital può diventare un pilastro per il rilancio del sistema produttivo italiano, troppo a lungo frenato da bassa innovazione, lenta digitalizzazione e un’economia che fatica a reinventarsi. È proprio questo il messaggio centrale del Position Paper di TEHA Group in collaborazione con CDP Venture Capital, che propone una visione chiara: valorizzare il risparmio previdenziale per alimentare l’innovazione del Paese.

Il documento propone un obiettivo concreto: attivare fino a 2 miliardi di euro provenienti da casse previdenziali e fondi pensione a favore del venture capital. Secondo le stime, questo afflusso potrebbe generare tra 6,4 e 16,7 miliardi di euro di valore aggiunto e creare fino a 158.000 nuovi posti di lavoro.

Ad oggi, però, il contributo degli investitori istituzionali è minimo: solo lo 0,29% del patrimonio delle Casse e lo 0,14% dei Fondi pensione è allocato in venture capital. Un valore marginale se confrontato con Paesi come Svezia, Francia o Finlandia, dove politiche pubbliche e strumenti mirati hanno già incentivato l’impiego del risparmio previdenziale nell’economia reale.

Tra i motori di crescita del comparto c’è anche il Corporate Venture Capital, ovvero l’investimento diretto delle grandi aziende in startup e PMI innovative. Dal 2019 al 2024, le partecipazioni corporate sono cresciute del 98%, coinvolgendo oltre 4.000 startup e 1.250 PMI. I settori più attrattivi? Tecnologia (425 milioni di euro), life sciences (300 milioni) e smart cities (296 milioni), seguiti da fintech, agrifood e formazione. Questo dimostra come il venture capital italiano si stia orientando verso ambiti ad alta intensità tecnologica, fondamentali per la transizione digitale e sostenibile del Paese.

Il nodo critico: la fase late-stage

Uno degli anelli deboli dell’ecosistema è la carenza di capitali nelle fasi avanzate di sviluppo delle startup. Nel 2024, solo il 9% degli investimenti VC è stato destinato a imprese in fase late-stage, ossia quelle che, pur avendo superato la fase iniziale, hanno bisogno di risorse ingenti per scalare a livello internazionale. Per colmare questo gap è nato il Fondo Large Ventures, con una dotazione iniziale di 500 milioni di euro, pensato proprio per sostenere le scale-up italiane nel delicato passaggio verso l’exit o la quotazione in Borsa.

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Per far sì che le Casse e i Fondi pensione aumentino la loro presenza nel venture capital, servono però alcuni correttivi normativi. Ad esempio, è ancora poco chiaro se per raggiungere gli obiettivi fissati dalla nuova Legge Concorrenza – che impone un 5% di investimenti in venture capital entro il 2025 e un 10% entro il 2026 – possano essere conteggiati anche gli investimenti deliberati ma non ancora versati. Una maggiore chiarezza faciliterebbe la pianificazione.

Altro punto chiave è la gestione del rischio. I soggetti previdenziali, per definizione prudenti, necessitano di strumenti di mitigazione del rischio (come garanzie o fondi collaterali), analoghi a quelli già disponibili per il credito alle PMI. Solo così sarà possibile rispettare il mandato fiduciario verso gli iscritti e garantire la sostenibilità a lungo termine.

Una questione di cultura e consapevolezza

Il venture capital non è solo un veicolo finanziario: è uno strumento strategico per cambiare il paradigma produttivo dell’Italia. Tuttavia, manca ancora una cultura diffusa dell’investimento nell’innovazione. È fondamentale avviare campagne di sensibilizzazione rivolte a imprenditori, gestori e amministratori, per far conoscere le opportunità e i vantaggi del venture capital come leva per lo sviluppo e la competitività.

I dati parlano chiaro: una startup finanziata da VC genera in media 14,2 posti di lavoro netti all’anno, contro i 3 delle medie imprese e i 2,2 delle piccole. Un contributo occupazionale ben superiore alla media, che sottolinea l’impatto concreto del venture capital sulla crescita economica.

Se l’Italia vuole affrontare le sfide del futuro – dalla rivoluzione digitale alla transizione verde, dalla competitività internazionale alla creazione di lavoro qualificato – deve saper valorizzare il capitale paziente del risparmio previdenziale. Investire in venture capital significa investire in imprese giovani, innovative e dinamiche, capaci di reinventare il tessuto produttivo del Paese.

Non si tratta solo di una scelta finanziaria, ma di una strategia di sistema per costruire un futuro più solido, moderno e inclusivo. Un’Italia capace di scommettere su se stessa.



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